vai all’articolo sull’incidenza del peso in un itinerario pianeggiante
2^ PARTE
L’INCIDENZA DEL PESO QUANDO SI PEDALA IN SALITA
Nel precedente capitolo abbiamo analizzato come influiscono le variazioni di peso quando pedaliamo in piano. Abbiamo visto che a 25km/h il peso incide sulla resistenza totale per il 50% (e la resistenza aerodinamica per il restante 50%); se il peso bici+biker dovesse aumentare del 5% (come nel caso in cui si utilizzi il muletto da 14kg invece della bici “buona” da 10kg), questo aumento farebbe diminuire la velocità di marcia di una percentuale pari al “50% del 5%”, ovvero del 2,5%, e questo accadrà sia se non cambiamo marcia (ovvero se teniamo lo stesso identico rapporto sul muletto e sulla mtb“buona”), che se alleggeriamo il rapporto del 5% (possibilità peraltro solo teorica, dato che i rapporti delle mtb consentono variazioni percentuali non inferiori al 10-12% tra pignoni adiacenti).
In questo capitolo invece analizzeremo le conseguenze della variazione di peso nella marcia in salita, e scopriremo che, stavolta, la velocità varia di una percentuale molto superiore a quella di cui varia il peso.


La principale differenza rispetto alla marcia in piano, consiste nel fatto che in salita la frequenza di pedalata ideale è quella che corrisponde al rendimento massimo (in piano, invece, la frequenza di pedalata ideale è quella che corrisponde alla potenza massima per quell’intensità di pedalata). Nei grafici seguenti vengono indicati i due “punti di funzionamento”. Chiaramente, la curva di potenza relativa alla marcia in salita rappresenta una condizione di funzionamento a intensità superiore rispetto alla curva della marcia in piano. Le due curve sono pertanto rappresentate con scale di riduzione differenti, e questo è il motivo per cui, apparentemente, la potenza motrice erogata in salita apparirebbe, guardando il diagramma, inferiore a quella erogata in piano (ciò è dovuto, come detto, alla scala diversa con cui sono rappresentati i valori, e quindi le curve, sui due diagrammi).
Il perché ci si posizioni in due differenti condizioni di funzionamento (massima potenza e massimo rendimento) lo si spiega col fatto che in salita si pedala erogando una potenza superiore a quella erogata in piano (nel caso dei professionisti perché, in salita, si fa selezione; nel caso degli escursionisti perché altrimenti la velocità scenderebbe a valori da “ribaltamento”…). La conseguenza è che si pedala tenendosi immediatamente sotto la soglia anaerobica, che per un ciclista molto allenato è pari a circa il 90% del VO2 max (VO2 max è il massimo consumo d’ossigeno di cui è capace il nostro “motore”).
Pertanto, se osserviamo il nostro diagramma, capiamo immediatamente per quale motivo in salita andiamo a pedalare nel punto cui corrisponde il valore del rendimento massimo, pari a 0,25 (che significa ovviamente che il 25% dell’energia che bruciamo viene trasformata in lavoro meccanico, mentre il restante 75% va disperso in calore).
Per una potenza di 200W (che è quella che eroga in salita un escursionista medio), il rendimento massimo lo si ha per una frequenza di 60 pedalate/minuto. Osservando il diagramma vediamo che, se ad esempio dovessimo variare la frequenza di pedalata portandola a 80 pedalate/minuto, il rendimento scenderebbe al 23%. Questa differenza sembra poca cosa, tuttavia comporta che, posto 90 il valore di potenza consumata dal “motore umano” in condizioni aerobiche limite, in condizioni di rendimento pari a 0,25 otterremo una potenza utile pari a 22,5, mentre per rendimento pari a 0,23 la potenza utile sarà di 20,7. La differenza percentuale tra queste due potenze è dell’8%, e questo significa che, essendo P=C*n, a parità di coppia resistente (C), la velocità (n) diminuirà dell’8%.
Fatte queste premesse, passiamo quindi ad analizzare la situazione che ci interessa, e calcoliamo la differenza tra le velocità con cui, in salita, riusciamo a pedalare col muletto e con la mtb “buona”.

Andiamo adesso sul diagramma, e indichiamo con un cerchietto arancio il punto, sulla curva della potenza, che corrisponde alla nostra pedalata con la bici da 10kg (e supponiamo corrisponda a una potenza di 200W). Muovendoci sulla verticale passante per questo punto, intersechiamo, in alto, la curva del rendimento (chiaramente pari a 0,25, dato che abbiamo scelto la nostra “condizione di pedalata” in modo che avessimo proprio il rendimento migliore). In basso, lungo la stessa verticale, intersechiamo la curva delle velocità (e avremo una velocità pari a 60 pedalate/minuto, dato che, come detto, è la velocità per la quale si ha un rendimento pari a 0,25) mentre sull’asse orizzontale troviamo il valore corrispondente della coppia (che adesso non ci interessa calcolare).
Supponiamo adesso di “saltar su” il nostro muletto da 14kg e, per comodità nel ragionamento, consideriamo il caso in cui le due bici abbiano trasmissioni identiche (quindi stesse corone, stessi pignoni e, di conseguenza, stessi rapporti di trasmissione disponibili). Vediamo quindi cosa accade sul diagramma quando il peso della bici aumenta di 4kg: il peso totale bici+biker passa da 80kg a 84kg, con un aumento del 5%. Poiché stiamo pedalando in salita, ovvero a velocità molto bassa, la resistenza aerodinamica è del tutto trascurabile, e la resistenza al moto sarà dovuta esclusivamente al peso; pertanto, la coppia resistente aumenterà della stessa percentuale di cui è aumentato il peso, ovvero del 5%. Individuiamo allora, sull’asse orizzontale, il nuovo valore della coppia (non ci occorre avere un valore numerico, è sufficiente aiutarci con la griglia e aumentare del 5% il valore della coppia precedente, cerchiato in arancio).
A questo nuovo valore di coppia, corrisponderà un nuovo valore di velocità, che determineremo ricordando quanto detto nel precedente capitolo, ovvero che il “motore umano” funziona in modo tale che le variazioni di velocità (Δn) sono proporzionali alle variazioni di coppia (ΔC) secondo un coefficiente di proporzionalità (k), ovvero: Δn=k*ΔC. Facciamo quindi i nostri calcoli partendo dal vertice della parabola, dove abbiamo il valore massimo di potenza, pari a P=C*n (con P, C e n, relativi alle condizioni di massima potenza, indicate in neretto per distinguerle dai valori generici). Consideriamo ora la “condizione di funzionamento” con la mtb da 10kg, in cui abbiamo che la coppia C è aumentata del 35% (rispetto al valore C corrispondente alla massima potenza, e quindi è C=1,35C), mentre la velocità n è diminuita del 35% (sempre rispetto al valore n, corrispondente ancora alla massima potenza, per cui è n=0,35n). Inserendo questi due nuovi valori nell’espressione della potenza, avremo P=1,35C*0,35n=0,88C*n=0,88P. La potenza erogata sarà pertanto pari all’88% della potenza massima (corrispondente al vertice della parabola).
Facciamo adesso gli stessi calcoli nel caso si utilizzi la bici da 14kg. In questo caso, la coppia aumenta di un ulteriore 5%, e quindi avremo C=1,4175C. Ragionando come prima, otterremo che n=0,5825n. La potenza motrice, in questo caso sarà data da P=1,4175C*0,5825n=0,82P. In questo secondo caso, quindi, un aumento del peso del 5%, ha provocato una diminuzione della potenza meccanica del 6,8% (dato che 0,82P è il 68% di 0,88P). Pertanto, poiché la potenza è pari a P=F*v, dato che con la bici da 14kg la resistenza al moto (F) è aumentata del 5% mentre, sempre con la bici da 14kg, la potenza (P) è diminuita del 6,8%, la velocità cui pedaliamo con la bici da 14kg è inferiore del 7,4% rispetto a quella relativa alla bici da 10kg (questa variazione di velocità la si determina, molto facilmente, inserendo le variazioni percentuali indicate sopra nella formula P=F*v).
A questo punto abbiamo davanti due possibilità: una è quella di “rassegnarci” a procedere a questo passo, accettando il fatto che la diminuzione di velocità è percentualmente più penalizzata dell’aumento di peso. L’altra possibilità è invece quella di cambiare rapporto, così da far coincidere il nostro “punto di funzionamento” con quello, cerchiato in giallo, della bici da 10kg. Per far questo, avremmo necessità di scalare a un pignone più grande, che consenta una variazione del rapporto del 5%. Ricordiamoci che, variando rapporto, anche la velocità diminuirebbe della stessa percentuale (il 5%), per cui con questa “cambiata” avremmo ottenuto una diminuzione di velocità esattamente pari, percentualmente, all’aumento di peso.
Tuttavia, questa seconda possibilità è, nei fatti, inattuabile, dato che le variazioni di rapporto consentite dalle trasmissioni in uso sulle mtb hanno valori superiori al 10-12%.

Vediamo quindi cosa accade quando, per cercare di migliorare la situazione, passiamo ad esempio dal pignone 28 al pignone 32: questa “cambiata” comporta una variazione del rapporto del 12,5%, e pertanto, muovendoci sulla curva di potenza, ci porteremo (dalla posizione indicata col cerchietto rosso “1”) nella posizione indicata con il cerchietto rosso “2”, cui corrisponde una coppia diminuita del 12,5%. In queste condizioni, tuttavia, ci troviamo a erogare una potenza motrice superiore rispetto a quella indicata con “1″ (come si vede dal grafico) che, ricordiamoci, è la potenza massima erogabile stando al di sotto della soglia anaerobica (qualunque suo incremento ci porterebbe in zona anaerobica, con accumulo di acido lattico). Per ridurre la potenza erogata, portandola al valore massimo ammissibile, dovremo quindi diminuire la frequenza di pedalata. Ci porteremo in questo modo nella posizione “3”, individuata dal cerchietto rosso che si trova su una nuova curva di potenza (tratteggiata) corrispondente a una intensità di pedalata differente (inferiore rispetto alla precedente), Facendo i calcoli (che ometto per non appesantire la descrizione), otteniamo un incremento della velocità di pedalata pari al 9%. Ricordiamoci però che avevamo cambiato rapporto, passando dal pignone 28 al 32, (e questa “cambiata” determina una riduzione di velocità pari alla variazione di rapporto, che come visto prima è del 12,5%). Complessivamente quindi la velocità decresce del 4,7%, e apparentemente si ha addirittura un guadagno rispetto all’aumento percentuale di peso, pari al 5%.
Tuttavia, le cose non stanno così in quanto, se andiamo a vedere qual è il valore del rendimento corrispondente a questa frequenza di pedalata (pari a circa 65 pedalate/minuto), vediamo che è pari a 0,245. Rispetto al rendimento massimo (quello cui pedalavamo con la bici da 10kg), abbiamo quindi una variazione del 2%. Ciò significherà che dovremo diminuire la potenza meccanica erogata del 2%, per non finire in “zona” anaerobica, Dovremo pertanto diminuire ulteriormente la velocità di pedalata, portandoci sul diagramma nella posizione del cerchietto rosso “4”, determinando una diminuzione complessiva di velocità del 6,6% rispetto alla mtb da 10kg. Abbiamo però in questo caso il vantaggio che, essendoci spostati su una curva di potenza posizionata più in basso (infatti la parabola su cui si trova il punto di funzionamento “4” sta sotto la parabola su cui si trova il cerchietto arancio relativo alla bici da 10kg), cui corrisponde un’intensità di pedalata minore, ci affaticheremo di meno. In pratica, la velocità massima cui possiamo pedalare è più bassa del 6,6%, ma ci stanchiamo un po’ meno).
La considerazione finale di questo discorso riguarda l’importanza dell’avere i rapporti giusti e, in particolare, che diano la possibilità di avere delle variazioni di rapporto abbastanza piccole tra i pignoni più grandi (che son quelli che usiamo in salita). Il passaggio dal pignone 28 al 32, come visto, ci penalizza abbastanza poco (a fronte di una variazione del peso del 5%, abbiamo una diminuzione di velocità del 6,7%, e quindi i due valori percentuali sono abbastanza prossimi).
Tenete conto che, nel nostro esempio, l’aumento di coppia resistente del 5% era dovuto al passaggio a una bici più pesante. La nostra analisi può comunque essere generalizzata (così da renderla ancora più utile) alle situazioni in cui, mentre pedaliamo, aumenta la coppia resistente. Ad esempio, un aumento di coppia resistente pari al 5%, lo si ha anche quando la pendenza della strada aumenta del 5%. E’ quindi importante, quando si pedala in condizioni di massimo rendimento, disporre di pignoni che consentano variazioni di rapporto non troppo elevate, in modo da non vedere la propria velocità penalizzata, non per demeriti propri, ma per inefficienze meccaniche della trasmissione.
Vi invito a questo punto a osservare il confronto tra le diverse trasmissioni meccaniche in uso, fatto in un precedente articolo di questa “sezione tecnica. In quell’occasione abbiamo visto come le nuove trasmissioni monocorona, per cercare di coprire lo stesso intervallo di rapporti consentito dalle trasmissioni con più corone, utilizzino, specie tra i pignoni più grandi, delle variazioni di rapporto molto elevate. Ad esempio, il pacco pignoni 11-46 ha, come ultimi due pignoni, il 37 e il 46. La variazione di rapporto che si ottiene passando dal 37 al 46 è del 20%. Se rifacciamo i calcoli visti prima, otteniamo che una variazione di coppia resistente pari al 5% comporta, in questo caso, una riduzione di velocità pari all’8,6%, penalizzando il biker ben più del passaggio, visto nel nostro esempio, dal pignone 28 al 32.
Conclusioni: la prima cosa che salta all’occhio è il fatto che quando si pedala in salita, se non si cambia rapporto, un aumento di coppia resistente pari al 5% determina una riduzione di velocità percentualmente superiore, pari al 7,4%. Ricordiamo che una variazione di quest’entità (5%), oltre ad equivalere alla differenza tra una bici da 10kg e una da 14kg, equivale anche a quella che si ha quando la pendenza della strada varia, ad esempio, dal 10 al 10,5%. Questo ci da l’idea di come, anche una leggera variazione di pendenza, difficilmente percettibile “ad occhio”, possa generare una diminuzione di velocità di oltre il 7%.
Questo fatto ci suggerisce quindi di non essere “parsimoniosi” nelle cambiate, usandole invece tutte le volte che percepiamo una variazione, anche piccola, della forza che dobbiamo applicare ai pedali. Non ha senso infatti insistere sullo stesso rapporto, perché questo ci porta a perdere velocità, oltre che (come si vede chiaramente nel diagramma), a pedalare in condizioni di rendimento peggiore (si osservi come, sulla curva del rendimento presente nel diagramma, i suoi valori crollino rapidamente se ci spostiamo alla destra del punto di massimo).
L’importanza del cambiare rapporto ci suggerisce, come immediata conseguenza, l’altrettanto grande importanza che ha lo scegliere i pignoni con la “rapportatura” più adatta. Così, se ad esempio vogliamo usare il nostro muletto da 14kg per allenarci anche in montagna, sarà importante scegliere i pignoni più grandi in modo adeguato. Ciò significa che, se nella bici “buona” abbiamo come pignone più grande il 32, sul muletto sarà opportuno montare invece un 34. La differenza di rapporto tra 32 e 34 è infatti pari al 6%, ovvero quasi uguale a quel 5% di maggior forza resistente dovuto al maggior peso del muletto, e quindi i due valori si compenseranno perfettamente, consentendoci di salire semplicemente rallentando la velocità del 5% (senza le penalizzazioni aggiuntive viste in quest’analisi).
E’ poi importante, come abbiamo visto, scegliere i pignoni più grandi in modo tale che consentano una variazione di rapporto non troppo elevata. Prima abbiamo visto l’esempio degli ultimi due pignoni della trasmissione monocorona 11-46. Tra il pignone 37 e il 46 c’è una variazione del rapporto del 20%. Questa variazione equivale alla differenza tra i valori delle coppie resistenti, rispettivamente, in una salita al 10% e in una al 14%; pertanto, se nel tratto al 10% “funzionavamo” in condizioni di massimo rendimento, torneremo alle stesse condizioni (di rendimento massimo) solo quando la pendenza sarà aumentata al valore del 14%. Ciò significa che, nell’intervallo di pendenze compreso tra 10 e 14%, noi andremo a pedalare in condizioni di rendimento non ottimale (il che equivale a sprecare energie).

A tal proposito, non facciamoci fuorviare dal fatto che anche nelle gare di coppa del mondo si son visti montati sulle bici addirittura pignoni da 50 denti. Gli atleti di quel livello il 50 non lo usano nemmeno per arrampicarsi sui muri, per cui il suggerimento è quello di non fare le vostre scelte sulla base di “se lo montano anche loro, vuol dire che va bene”, ma piuttosto affidandovi a un’analisi come quella che abbiamo appena visto insieme.
Bene, quest’analisi si conclude qui. Nel prossimo articolo analizzeremo invece le differenze tra i due formati di mountain bike posizionati agli estremi, ovvero le 26” e le 29”. Analizzeremo le differenze di comportamento tra queste due tipologie di bici, così che ciascuno abbia la possibilità di scegliere quella più adatta a lui.
A rileggerci presto
Stefano Tuveri
P.S.: VEDIAMO SE ABBIAMO SMENTITO (O CONFERMATO) ALCUNI LUOGHI COMUNI: innanzitutto è esperienza comune, specie al primo acquisto di una bici “seria”, l’impressione di volare rispetto al caro fedelissimo cancello che ci ha accompagnato nelle nostre prime avventure in fuoristrada. L’analisi che abbiamo fatto oggi effettivamente conferma che, quando si affrontano le salite con la bici più leggera, il guadagno che ne abbiamo in termini di velocità (o, a parità di velocità, in termini di fatica), è nettamente superiore rispetto alla differenza di peso con la vecchia bici. Abbiamo infatti visto che, con un aumento di peso di 4kg, che equivale a un aumento percentuale del 5%, la velocità in un percorso in salita diminuisce del 7,4%. In piano, invece, la diminuzione di velocità è addirittura inferiore, pari al 2,5%, perché entra in ballo anche la resistenza aerodinamica. Quindi 4kg in più, in salita, provocano una diminuzione di velocità tripla (!!!) rispetto a quella in pianura. Noi quindi, istintivamente, durante una salita percepiamo la differenza di prestazioni tra le due bici come se il povero cancello pesasse non 4kg in più, bensì il triplo, ovvero 12kg in più!! Di fatto, il funzionamento del “motore umano”, con la curva Potenza-Coppia di forma parabolica, genera quest’apparente “sortilegio”, come se il povero muletto venisse zavorrato da qualche elfo dispettoso con ulteriore peso, come se non bastasse quello che si porta dietro. Quindi, per quanto riguarda il luogo comune del sentire il cancello maledettamente più pesante, ebbene si: non si tratta di una fantasia, ma è proprio così, per cui questo luogo comune va confermato
Vediamo poi l’altro luogo comune, ovvero: per poter uscire col mio gruppo, dove tutti hanno le superbici, devo comprarmi anch’io 2000 euro di mountain bike, altrimenti non riesco a stargli dietro. L’analisi da noi effettuata ci ha mostrato come, allestendo la nostra mountain bike in modo intelligente, qualunque sia il suo peso, riusciamo a tenere un passo che ci fa stare tranquillamente col resto del gruppo. Abbiamo infatti visto che, montando i pignoni giusti, la nostra velocità diminuisce esattamente della stessa percentuale di cui aumenta il peso, che nel caso di 4kg in più è pari al 5%. Ora, la differenza tra una bici da 10kg e una da 14kg è, monetizzandola, tra i 1500 e i 2000 euro. Fortunatamente, anche chi ha i suoi buoni motivi per non spenderli, può continuare a pedalare dignitosamente fianco a fianco a bici placcate in oro. Giusto per fare un esempio numerico, nella classica salitona di montagna, magari con 3km al 10%, una banda di escursionisti viaggia di norma a velocità tra i 5 e i 10km/h. Supponiamo che il nostro gruppo viaggi a 8km/h (che non sono pochi, anzi!); ciò significherà che, a parità di gamba, noi avanzeremo col nostro muletto a 7,6km/h. In questo modo, quando arriveremo al termine della salita, avremo un distacco di appena 150m (o, se preferite, arriveremo con un ritardo di circa 67 secondi…). Credo pertanto che, per quanto ci possa far piacere avere una bici più “buona”, anche il nostro muletto ci consenta di uscire con chiunque. A questo inoltre aggiungiamo che, se usiamo il muletto per allenarci (e migliorarci), nel momento in cui riuscissimo a tenere il passo delle superbici senza accusare distacchi, significherebbe esser diventati più “forti” del 5% rispetto al resto del gruppo. Pertanto, questo luogo comune viene smentito (e meno male, dato che la mountain bike è quanto di più coinvolgente ed inclusivo esista: l’ultimo suo scopo è quello di dividere i biker per censo, e la sua natura, che abbiamo analizzato fin nelle sue più “misteriose” curve caratteristiche, ci ha confermato proprio questo: la mountain bike è per tutti, e per correre non ci vogliono soldi, ma gambe!!!)
Stefano Tuveri
(ingegnere e progettista/collaudatore meccanico)

Articolo molto interessante e ben scritto.
Finalmente un po’ di chiarezza sulla meccanica della bicicletta.
Geniale l’analogia col motore elettrico.
E pensare che c’è chi dice che l’analogia è col motore a scoppio.
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Mi fa piacere abbia trovato interessante questo articolo. L’analogia col motore elettrico è nei fatti; diciamo quindi che se uno ha un minimo di dimestichezza con questi argomenti (le curve caratteristiche di un motore, a cominciare da quella relativa alla potenza), e conosce i motori elettrici, non può che riconoscere alcuni tratti comuni a motore elettrico e “motore” della bicicletta (lasciamo perdere quelli che fanno raffronti coi motori a scoppio; in rete purtroppo il primo che si autoproclama competente si mette a tenere lezioni).
Quest’approccio all’argomento (ovvero la potenza di un biker e le modalità di erogazione), dovrebbe essere alla base della medicina sportiva, che dovrebbe avere l’umiltà di riconoscere di non essere in grado, da sola, di capire questa complessa materia, e ancor meno di gestirla. Fisici e ingegneri meccanici potrebbero darle una grossa mano, se solo non li considerassero alla stregua del caldaista o dell’idraulico che fanno manutenzione negli studi medici. Purtroppo così non è, e così vediamo medici sportivi alle prese con costosissimi macchinari, di cui ignorano i principi di base e che utilizzano solo per ricavare delle empiriche curve buone giusto per rappresentare quella specifica situazione che stanno analizzando. Basterebbe che capissero che quelle curve sono la rappresentazione di una funzione matematica (che a sua volta modellizza un fenomeno fisico), per essere in grado di rappresentare le caratteristiche di uno sportivo (non necessariamente un ciclista) attraverso delle grandezze specifiche individuali che, inserite nel modello matematico, ci possono descrivere il suo comportamente in qualunque situazione (senza bisogno di attaccarlo a una macchina, che come detto viene utilizzata per monitorare solo una particolare situazione tra le infinite che si possono verificare nello svolgimento dell’attività sportiva).
Ma tant’è, così stanno le cose oggi, e non saranno certo questi miei scritti a farle cambiare (ma questi miei scritti, spero, aiuteranno qualcuno di voi a capire qualcosa in più, e questo sarebbe già abbastanza)
Stefano Tuveri
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Caro Tuveri,
ci troviamo in consonanza perfetta.
Sarà mica perché sono ingegnere anch’io?
Quindi con me sfonda una porta aperta.
Noto che nella sua risposta ha allentato un po’ la sorveglianza sul modo di esprimere le sue opinioni, che si riscontra nel testo dell’articolo.
Sono un ex ricercatore e noto con lei che il modo di condurre misure e esperimenti da parte delle squadre è orripilante, senza una visione di assieme.
Cerco anch’io di applicare i principi della meccanica e se le fosse sfuggito le segnalo un mio recente articolo sull’indice di valutazione delle salite:
– https://www.espertiformatorisportivi.it/2021/01/27/lindice-fm-basato-sulla-fisiologia-e-la-meccanica-aiuta-a-dosare-le-forze-per-le-salite-nel-ciclismo/
Cordialmente
Giovanni Pieri
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Beh Pieri, diciamo pure che, salvo inventarci nuovi principi della Fisica, se sia io che lei ci atteniamo a quelli attuali non possiamo che trovarci d’accordo come naturale e inevitabile conseguenza.
Quanto alla “sorveglianza”, devo dire che, visto quello che si vede in giro a riguardo, la mia risposta può essere classificabile addirittura come diplomatica…
Ho letto con interesse il suo articolo, e inutile ribadire che condivido appieno quel tipo di approccio all’argomento (che secondo me è l’unico possibile, salvo voler leggere le interiora degli animali, contare gli uccelli nel cielo, ed eventualmente ingraziarsi Zeus con sacrifici mirati).
Così come c’è una palese analogia tra “motore” del biker e motore elettrico, immagino non le sia sfuggita l’altra analogia tra comportamento a fatica dei materiali e “fatica” del ciclista (che in questo caso consiste nel progressivo consumo di “risorse”, intese come capacità del “motore” di continuare a lavorare finchè queste non si esauriscono completamente portandolo alla “rottura”). Questo comportamento è rappresentato da un modello matematico, complesso ma non troppo, che consente, noti i “dati di targa” del biker, di prevederne il comportamento lungo un itinerario con una precisione che ha sorpreso anche me (che pure l’ho elaborato, ci ho studiato, e in definitiva ci ho creduto riponendovi piena fiducia). Il nostro gruppo ha potuto beneficiare di questo metodo scientifico, in particolare in situazioni dove ci si è trovati a dover dar fondo a tutte le proprie risorse, con la difficoltà aggiuntiva dell’eterogeneità del gruppo (“gambe” diverse, e non poco, tra i componenti). In particolare è stato utile nei viaggi a tappe, in cui, per ottimizzare la tabella di marcia, si è potuto conoscere già a priori quanto percorso ciascuno (e in particolare i meno forti) sarebbe stato in grado di fare nell’arco di una giornata, evitando in particolare due cose: fermarsi prima della meta preventivata, e arrivare al buio (che sono i due rischi quando si pianificano le tappe di un viaggio alla cieca). E’ stato sufficiente (si fa per dire) attenersi alle velocità di riferimento tratta per tratta, che avevo studiato a priori una volta note le caratteristiche del tracciato (sulla base dei valori, i più uniformi possibile, della potenza da erogare), per arrivare alla meta entro l’orario pianificato e con un consumo di risorse prossimo al 100% (in fase di studio era stato mantenuto un 4-5% di margine per non correre rischi). Per il recupero energetico, ci siamo invece rifatti ai menù delle trattorie di turno e ai consigli di qualche bravo cuoco, e devo ammettere che in questo caso siamo andati ad occhio (ma con risultati ugualmente ottimi, direi anzi memorabili).
Un esempio di questo criterio di pianificazione degli itinerari lo trovate in questo articolo: https://bikeplani.wordpress.com/2018/06/06/diamo-i-numeri-6-escursione-tra-biker-con-passi-diversi-come-gestire-velocita-di-crociera-e-soste-per-renderla-gradevole-per-tutti/
Chiudo dicendo che questo metodo lo utilizziamo ormai da anni nel nostro gruppo, e pur dovendo fare i conti con la realtà (che non è ovviamente pianificabile come un esperimento di laboratorio), ha mostrato un margine d’errore che non ha mai superato il 3-4% (il che dal mio punto di vista è stupefacente, dato che parliamo di una situazione studiata sulla carta, ma poi messa in pratica basandosi esclusivamente sulle proprie sensazioni e sulla velocità indicata dal computerino della bici).
Saluti
Stefano Tuveri
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Caro Tuveri,
Vista la colleganza professionale, vista la comune passione per il ciclismo e considerato che sono io il più vecchio, propongo di darci del tu.
Rispondo per punti:
1. Analogia con la fatica dei materiali. Sinceramente mi è sfuggita. Mi complimento perché le curve di Woeler somigliano molto a quelle umane. Io provengo da un altro ramo dell’ingegneria e ho in testa altre analogie. Grazie per averla segnalata.
2. Il modello matematico. Mi interessa molto e vorrei vederlo. L’hai pubblicato ? Oppure lo consideri segreto professionale? Ho letto subito il tuo articolo sui percorsi e le soste e l’ho trovato pregevole, ma non c’è la formula che tu dici di usare. Se non l’hai messa perché sai per esperienza quanto il lettore medio odi le formule, ti capisco. Personalmente non me ne spavento e la leggerei volentieri.
3. Recupero energetico. Ah che bello poterlo fare in Sardegna. Almeno col pensiero ti accompagno in ogni tua escursione e sosta.
Con i miei complimenti ti saluto cordialmente.
Giovanni
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Grazie, e poi i complimenti da parte di una persona competente, oltre che collega, fanno ancora più piacere.
Effettivamente il recupero energetico, in Sardegna, non è male, ma devo dire che durante i nostri viaggi (penso ad esempio agli ultimi, tra Toscana, Umbria e Marche) la qualità dei “recuperi” non è stata da meno (le trattorie, specie se poco “fighette”, restano il miglior distributore di carburante per un biker!).
Sul modello matematico in grado di rappresentare il consumo di risorse, sono vere entrambe le cose che scrivi. Il modello non si presta ad essere inserito su articoli che vogliono essere tecnici ma, al contempo, fruibili da tutti. In più, il modello non consta di una singola equazione, ma è un sistema di equazioni che a loro volta sono parametriche. Di ciascun parametro andrebbe spiegato il significato (e per alcuni non è affatto immediato), e in pratica solo per rappresentare il modello ci vorrebbe una pubblicazione a se stante. Davvero quanto di più lontano dagli obiettivi di questo sito, che vuole essere comprensibile e utile per tutti, puntando più a far acquisire i concetti che le formule che ci sono dietro.
E’ poi anche vero che, per il momento, non divulgherò il modello in quanto stiamo lavorando allo sviluppo di un software (un’app? Vedremo) che, per chi lo vorrà, consentirà di avere sott’occhio in tempo reale la gestione delle proprie risorse. Non so ancora quando sarà pronto, ma sicuramente il primo luogo dove se ne avrà notizia sarà questo nostro sito.
Ancora grazie per l’attenzione che mi hai dedicato
Stefano
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Caro Tuveri,
sono contento di leggerti, specialmente quando cominci a rispondere sul mio terzo punto del rifornimento energetico e mi compiaccio dei tuoi gusti raffinati, ma ancora robusti che non sono rivolti alla “nouvelle cuisine” ma apprezzano trattorie di campagna dove la roba è buona e le porzioni generose.
Ammetto di essere stato un po’ provocatorio nella mia precedente e temevo che non mi avresti risposto.
Apprezzo la tua franchezza nel descrivermi la tua situazione . Mi sembra di capire che forse le tue idee saranno tradotte in un software multimediale, forse a valore aggiunto, forse in libero impiego quando sarà finito.
Ti auguro il miglior successo in questa tua impresa: non ti mancano né la competenza, né la passione, garanzie di sicura riuscita.
Con l’occasione ti segnalo un link a un lavoro tedesco sul modello matematico di un percorso ciclistico.
La matematica del modello non è niente di trascendentale, ma lo diventa quando gli viene applicata una tecnica di ottimizzazione per trovare la migliore strategia di percorso. Il link è:
DaSaWo12.pdf (uni-konstanz.de)
Ti saluto cordialmente te fortunato nella bianca Sardegna.
Giovanni
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Anzitutto complimenti per questa serie di articoli. Sono un giovane ingegnere meccanico anch’io e, essendomi appena affacciato alla mtb, cercavo esattamente queste informazioni.
Ho un paio di dubbi che vorrei chiarire.
Il primo consiste nell’ottenimento delle curve caratteristiche del nostro motore. Se l’analogia col motore elettrico può essere giustificata a livello qualitativo dall’esperienza, c’è qualche dato un po’ più preciso a supporto di questa modellizzazione? Immagino che si debba andare a scavare nei bagagli della biomeccanica e della biologia, entrambe materie fuori dalle mie competenze ma che sarei contento di conoscere.
Il secondo dubbio mi sorge notando che la curva del rendimento, in questo articolo, è radicalmente diversa da quella mostrata nel primo articolo (quello sul pianeggiante). Qui il picco si trova un po’ oltre il picco di potenza, mentre nel precedente articolo si vede molto prima. Nell’articolo non viene fatta menzione del perché di questo. L’unica spiegazione che mi posso dare è che stiamo parlando di scenari ad intensità diversa, ma di solito al variare della tensione (o del carico, nel gergo motoristico a combustione) la forma delle curve cambia di poco.
Attendo con curiosità un confronto!
Grazie mille e alla prossima pubblicazione
Tommaso
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Buongiorno Tommaso, ti ringrazio per gli apprezzamenti. Rispondo subito al tuo dubbio circa la differenza che hai riscontrato nella curva del rendimento. Ti riporto quindi quanto è scritto nell’altro articolo che citi (quello sul comportamento in itinerario pianeggiante), asteriscato, nel primo articolo (esattamente sopra il grafico che citi):
“* Importante: le curve relative a rendimento ed energia assorbita son state riportate identiche a quelle del motore elettrico ma, come vedremo nel seguito dell’analisi, sono differenti sia nella geometria che (importante) nella loro natura (in quanto devono contemplare altri parametri oltre a quelli strettamente energetici).”
Per quanto riguarda poi l’ottenimento di queste curve (ovvero, del modello matematico che rappresentano): no, il modello matematico è ottenuto esclusivamente grazie a leggi e principi della Fisica (e, nello specifico, della meccanica). E’ frutto di studi che porto avanti da anni, e che conto a breve di far convergere in una pubblicazione.
Il rapporto che hanno questi studi con la biologia, o meglio ancora con la medicina sportiva, è che laddove le trattazioni medico-sportive si sforzano di costruire dei grafici totalmente empirici in cui inseriscono i dati delle prestazioni di un atleta (e quindi son valide SOLO per quell’atleta, e soprattutto SOLO per quella specifiche situazioni analizzate in quello specifico momento, ovvero quanto di più anti-scientifico possa esserci), un modello matematico che si basa strettamente sulla Fisica e le sue leggi costituisce un riferimento OGGETTIVO in grado non solo di descrivere, ma soprattutto di prevedere a priori, il funzionamento di qualunque “motore” (ovvero di un biker) in qualunque situazione.
La differenza è enorme, ma la medicina sportiva non mi sembra esserne consapevole. Che i medici, in generale e non solo quelli sportivi, debbano studiare un po’ più di Matematica e Fisica per essere all’altezza del livello raggiunto dalla Scienza nel terzo millennio? Io un dubbio al posto loro me lo porrei…
Stefano Tuveri
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Intervengo non invitato in questa discussione che, con grande piacere, vedo prendere una piega verso approfondimenti tecnici.
Anche io avevo notato la differenza tra le due curve di rendimento, ma dato il carattere dimostrativo dei calcoli di Stefano non avevo ritenuto la questione sostanziale.
Stefano dice che la curva che usa nel secondo articolo è quella giusta per un biker. Bene ne prendo atto con piacere.
Per quanto riguarda curve caratteristiche vere (non le rette e parabole del motore elettrico) sto elaborando dati di letteratura che portano al loro tracciamento.
Sono però incerto se pubblicarle perché ottenute da relativamente pochi dati.
Mi sono chiesto perché i dati disponibili siano così pochi. vedo due tipi di ragioni:
a) segreto professionale da parte dei tecnici e riservatezza delle squadre su questioni di importanza agonistica
b) lo scopo dei test che si eseguono è migliorare i risultati in allenamento e in gara e questo porta a sperimentare un campo di variabili ristretto ai valori di interesse per l’allenamento e la gara.
Ciò detto attendo con grande interesse e viva aspettativa che Stefano pubblichi il suo modello, che di sicuro getterà nuova luce sulla materia che stiamo dibattendo.
Mi permetto una considerazione di metodo (epistemologica direi se non fosse una parola troppo grossa).
Le curve semiempiriche che riguardano una sola persona hanno la loro importanza, a patto che se ne disponga per un congruo numero di persone e non tutte simili atleticamente tra loro . Ritengo che anche fare test su persone non allenate potrebbe gettare luce su certi aspetti del motore umano. Del resto la teoria meccanica dei motori vale per il motore da 10MW che aziona il compressore degli impianti di polietilene a bassa densità come per i motorini della modellistica, di cui Stefano è grande esperto.
Stefano ricava la caratteristica del biker dai principi primi. Gli auguro pieno successo e rimango curioso di vedere (quando pubblicherà) come ci riesce.
Così, non essendo ingegnere meccanico, mi viene da pensare che per ricavare dai principi primi la caratteristica di un motore a scoppio bisogna conoscere la gasdinamica e per un motore elettrico i campi elettrici e magnetici; che cosa bisogna sapere per applicare i principi primi al biker?
con questa domanda vi lascio e vi saluto cordialmente, Tommaso e Stefano, compiaciuto per la piega che prende questa discussione
Giovanni
PS saluti cari anche alla meravigliosa Sardegna
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Si Giovanni, quanto dici è sacrosanto, le prove sperimentali sono non solo utili, ma fondamentali in tanti ambiti, anche della meccanica. Del resto, è così che si determinano le caratteristiche meccaniche dei materiali, quale ad esempio la loro resistenza (che sia di rottura, snervamento, fatica, ecc.). Solo che questi risultati ottenuti, sono parte di un discorso molto più ampio, all’interno del quale trovano significato e applicazione. Il problema dei “grafici” che vedo in uso nella medicina sportiva è che invece nascono e muoiono lì, stanno ciascuno in un suo “compartimento stagno”, manca una visione complessiva della materia, e questo è una naturale conseguenza del fatto che se ne ignorano i principi che ne stanno alla base, e da cui discendono quei risultati rilevati empiricamente.
La mia impressione però è che, anche all’interno della medicina sportiva, ci siano staff e professionisti che hanno invece un approccio scientifico di alto livello. Stando in ambito ciclistico, il Team Ineos (ex Sky) a me sempra che utilizzi palesemente metodiche scientifiche avanzate. Corridori come Froome sono stati palesemente “telecomandati” nel corso degli anni, nel senso che fruiscono di un monitoraggio continuo delle loro “risorse”, in modo da ottimizzarne il consumo e non trovarsi, all’arrivo, nè al 99% (risorse sprecate) nè al 101% (fine del carburante prima della fine). Froome in corsa non guarda gli avversari; guarda il computerino e ascolta l’auricolare.
Il fatto che QUEGLI staff non rendano noti i loro metodi (e gli studi su cui poggiano), è, se stanno così le cose, il minimo che ci si possa attendere per non avvantaggiare gli avversari.
Del resto, è sufficiente inserire nel proprio staff di medici un ingegnere o un fisico (e se ne inserisci più d’uno, tanto meglio), per rivoluzionare l’approccio a queste materie (e son sicuro che c’è chi ha già intrapreso questa strada, e non da oggi)
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sono pienamente d’accordo. Il team Ineos di sicuro ha un approccio scientifico e Froome guarda sempre il computerino prima di fare qualunque mossa. Per esempio quando ha vinto il giro d’Italia vincendo (finalmente) una tappa per distacco ha proprio dichiarato che era stata studiata a tavolino e che era stato programmato come affrontare ogni tratta del percorso.
Con quello che spende Ineos (ex Sky) per pagare i corridori e le spese della squadra mi meraviglierebbe che non avesse mezzi di sostegno scientifico agli atleti adeguati al livello di spesa.
Con Froome si intravedeva troppo la mancanza di spontaneità della sua condotta e questo ammazzava un po’ il bello della corsa. Meglio si son comportati i giovani al giro di quest’anno.
Sky poi per garantirsi i ritorni aveva altri mezzi non sempre simpatici. in un solo giro di Francia ben tre volte si è visto. (La squadra cade in massa tranne Froome, che con un semplice gesto ferma ogni velleità di attacco; la squadra giunge tutta fuori tempo massimo (tranne Froome) e viene riammessa; Froome si fa un pezzo di corsa prima di ricevere la bicicletta di scorta e non solo non viene penalizzato, ma riammesso con lo stesso tempo di quelli arrivati prima di lui…)
Scienza nello sport, ma anche politica, purtroppo.
Anche il Team Garmin, da quel poco che trapela, sembra avere un livello scientifico sopra la media.
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Caro Stefano,
Ti do una bella notizia: ho una conferma di quanto hai scritto in uno dei tuoi begli articoli sulla dinamica della bicicletta.
Devo ringraziarti, perché se sono in grado di affermare quanto segue lo devo a te.
Ricordi di aver affermato che: “quando si opera lungo una stessa curva caratteristica del motore umano ci si stanca sempre allo stesso modo”?
Quando l’ho letto mi ha convinto subito. Intuitivamente, ma con forza. Però una prova sperimentale diretta sarebbe stata la ciliegina sulla torta.
Sono partito da questa considerazione: se l’affermazione è vera per tutta curva caratteristica deve essere vera anche per i suoi estremi, che sono:
a) la pedalata libera senza carico
b) la forza esercitata su un pedale senza movimento.
Apparentemente diversi, i due fenomeni possono dare stanchezza nello stesso modo se si assume che due sforzi diversi sostenibili per tempi uguali stanchino in modo uguale; vale a dire due TTF (Time to Task Failure) uguali misurano la stessa stanchezza.
Ho montato due serie di esperimenti. Ho misurato i tempi durante i quali riuscivo a sostenere rispettivamente un certo ritmo di pedalata e a esercitare una certa forza sul pedale.
In entrambi i casi ho rappresentato i dati con un modello iperbolico a 3 parametri (3-p critical power model) ottenendo le seguenti equazioni:
103,25m+177,71 24,095m+41,612
RPM = ——————- K = ———————–
m+1 m+1
Nel primo caso il numero di giri (RPM) in funzione dei minuti (m) per cui risulta sostenibile; nell’altro il la forza (kg), sempre in funzione dei minuti per i quali è sostenibile
E’ facile vedere che le due formule descrivono lo stesso andamento temporale. I risultati, normalizzati rispettivamente al numero di giri massimo e alla forza massima, sono confrontati nella seguente tabella
% del massimo RPM
100 0,000 0,000
95 0,136 0,135
90 0,313 0,312
85 0,558 0,554
80 0,913 0,905
75 1,479 1,462
70 2,521 2,480
65 5,073 4,932
60 21,056 19,084
58,1 inf. 213,441
57,9 inf. inf.
Le differenze sono minime. Solo per tempi molto lunghi, quando ci si avvicina all’asintoto i valori cominciano a divergere, perché le due formule non hanno esattamente lo steso asintoto: la prima lo presenta al 58,1% del massimo e la seconda al 57,9%. Queste piccole differenze sono dovute a piccoli errori sperimentali e non inficiano le conclusioni.
Anche nel caso della penultima riga la differenza non è significativa: tra un tempo di sostenibilità infinito (matematicamente) e uno di circa 3h e mezzo non c’è differenza pratica.
Con ciò ritengo che sia sufficientemente dimostrato l’assunto che gli due estremi di una stessa caratteristica stancano allo stesso modo. Da qui a inferire che la proprietà vale lungo tutta la caratteristica il passo è breve.
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