1^ PARTE: COME VARIA LA PROPRIA AUTONOMIA (OVVERO PER QUANTO TEMPO SIAMO IN GRADO DI PEDALARE) A SECONDA DELLA “VELOCITA’ DI CROCIERA” MANTENUTA
Questa volta ci occupiamo di un tema fondamentale per tutti coloro che utilizzano la mountain bike, dallo “slow biker” che percorre facili itinerari per godersi la natura all’agonista che mira a ottenere il massimo in gara: la gestione ottimale del proprio “motore”.
E’ infatti esperienza comune a chiunque usi la bici, il fatto che man mano che si pedala la gamba si “consuma”, diminuendo via via la propria “autonomia residua”. Se le mie capacità mi consentono di pedalare per 2h in piano a 30km/h, dopo che avrò pedalato per 1h30’ riuscirò a pedalare ancora a 30km/h, e pertanto i miei muscoli non avranno diminuito le loro prestazioni, ma sarà diminuita la loro autonomia residua (che si sarà ridotta a 30’, dopo di che mi fermerò perché, come si dice in gergo, “non ne avrò più”).

Nell’analisi che effettueremo oggi, vedremo proprio come sia possibile prevedere, in base alle caratteristiche del biker, in che modo affrontare un certo itinerario in modo da riuscire a dare il massimo, ma senza rischiare di rimanere “senza benzina”.
In pratica, partendo da un dato noto (ad esempio dal fatto che il biker in esame riesca a pedalare per 2h in piano a 25km/h, che è la sua prestazione massima per un intervallo di tempo di quella durata, e corrisponde a erogare una potenza specifica di 2,15W/kg), vediamo come si può pianificare una “tabella di marcia” lungo un qualunque itinerario in modo da affrontarlo al meglio. Ad esempio, supponendo che il nostro itinerario preveda, in salita, 5km al 10%, 8km al 2%, 8km al 6% e in discesa 21km al 4%, è possibile determinare a quali velocità affrontare queste differenti tipologie di terreno ottimizzando le proprie prestazioni (e quindi andando il più veloce possibile, ma senza piantarsi prima di aver completato tutto l’itinerario).
Vale la pena fare una precisazione: se affrontare in modo “scientifico” una gara può avere senso, fare altrettanto per affrontare un’escursione rischierebbe di togliere il piacere di pedalare a me per primo, quindi figuriamoci se voglio infliggere a voi un simile approccio al vagabondaggio in mountain bike. Lo scopo di quest’articolo è invece quello di aiutare soprattutto i meno esperti a dosare al meglio le proprie risorse, perché uno degli errori classici è quello di non sapersi gestire e piantarsi prima di aver concluso la propria escursione.

Come dico sempre agli amici che hanno ancora poca esperienza in mtb e vogliono provare a cimentarsi in qualche escursione sulle lunghe distanze, se uno è in grado di pedalare a buon ritmo per 30km (dove per “a buon ritmo” intendo a non meno di 25km/h, perché un passo inferiore è sinonimo di condizione fisica ancora troppo bassa), allora è in grado di affrontare, al proprio passo, anche un’uscita di 100km.
Ciò che quindi ci proponiamo di definire oggi è quale sia e come si determini il “passo giusto”. Un errore classico dovuto all’inesperienza è infatti quello di cercare di affrontare i 100km alla stessa velocità che si tiene in un’uscita di 30km. Accade così che inizialmente si pedala sentendosi a proprio agio, dato che si ha nelle gambe quella velocità, ma quando ci si trova intorno ai 30Km percorsi (che corrispondono al limite della propria autonomia a quella velocità) si spegne di botto la luce e ci si pianta perché, come detto prima, “non se ne ha più”.
Come tutte le analisi descritte in questa sezione di “tecnica e meccanica”, anche questa non può che poggiare sui principi della fisica che sovrintendono a qualunque fenomeno meccanico, e i numeri che otterremo saranno il risultato di calcoli effettuati sulle formule che ho elaborato, sulla base di analisi e studi effettuati in ambito meccanico. Come in tutte le occasioni in cui ho studiato il comportamento del “motore” umano, anche questa volta studi e pubblicazioni del settore medico sportivo mi son stati preziosi per comprendere il funzionamento della “macchina” sotto il profilo biologico (dato che, se in meccanica posso azzardare qualche analisi specifica della materia, biologia e medicina sportiva sono invece ambiti in cui devo stare rigorosamente ad ascoltare chi ne sa più di me, dato che vi ha dedicato anni di studio ed esperienza).
Bene, fatta questa premessa, l’autonomia di un biker (ovvero i km che è in grado di percorrere quando tiene una certa velocità, utilizza determinati rapporti, e affronta terreni che differiscono per tipo di fondo stradale e pendenza) viene determinata utilizzando una specifica formula, che ho elaborato basandomi sugli studi che avevo precedentemente effettuato sul comportamento dinamico del “motore” della mountain bike (la cui introduzione vi descrissi in tre articoli pubblicati su questo sito, anche se mi rendo conto essere di difficile comprensione se non si ha una preparazione specifica, oltre che impossibili da sintetizzare in modo esauriente e approfondito in un articolo).
Chiaramente evito di torturarvi con la descrizione della formula utilizzata nell’analisi che stiamo affrontando, per cui mi limiterò a fornirvi i risultati numerici ottenuti, accompagnandoli con una descrizione che vi consenta di comprendere, concettualmente, il loro significato.
Riguardo a questa formula, mi limito a dirvi che mette in relazione il “tempo di autonomia” di un biker con la potenza erogata, con l’intensità dello sforzo, con lo scostamento dalla condizione di massima potenza e con le caratteristiche del biker (ovvero con la potenza che è in grado di erogare in modo continuativo per un prefissato in intervallo di tempo), tenendo conto anche di eventuali pause (che possono essere delle soste, ma anche dei tratti in discesa in cui non viene erogata potenza). La relazione è di tipo non lineare, il che rende i risultati non intuitivi (motivo per cui è facile cadere in errore quando si stimano le proprie caratteristiche “a occhio”, o anche con metodi empirici come quelli di laboratorio, laddove i dati forniti dalle apparecchiature non vengano elaborati attraverso un apposito metodo scientifico). Il risultato è quello di poter determinare per quanto tempo il “motore” del biker è in grado di lavorare a un ben definito “regime di funzionamento”, prima di giungere all’esaurimento completo delle proprie risorse.
Partiamo allora dal nostro biker che, su un percorso piano, è in grado di pedalare per 2h alla velocità di 25km/h, percorrendo quindi 50km. Il biker utilizza un rapporto che gli consente di pedalare “in agilità”, che a questa velocità corrisponde a una frequenza di pedalata di 80ped/min (avevamo affrontato questo argomento negli articoli dedicati al dimensionamento della trasmissione), il che determina un “consumo della gamba” un po’ più basso rispetto al pedalare “di forza” (che a 25km/h corrisponderebbe a una frequenza di 60ped/min). Va sottolineato che stiamo considerando la situazione in cui il biker, quando giunge al cinquantesimo chilometro, ha letteralmente speso tutto e farebbe fatica a proseguire anche solo per qualche altro chilometro. Insomma, 50 km a 25km/h sono il massimo possibile per le sue capacità.
Bene, supponiamo che il nostro biker si trovi, per la prima volta, ad affrontare un percorso ancora pianeggiante, ma stavolta della lunghezza di 100km, distanza “mitica” per chi comincia ad uscire in mtb (cui, giustamente, all’inizio appare un impresa anche percorrere 10km). Non avrà idea di quale velocità dovrà tenere per evitare di andare in crisi prima di esser giunto alla meta, ma utilizzando l’apposita formula si ottiene che, nel suo caso, dovrà percorrere i 100km a una velocità non superiore ai 16km/h. Chiaramente, se andasse più piano avrebbe, al termine dei 100km, ancora un po’ di “gamba” da spendere, ma andando più veloce si pianterebbe prima di aver completato il suo itinerario. Quanto ricavato si riferisce al caso in cui il biker pedali “in agilità”, e quindi con una frequenza di pedalata che, a 16km/h, corrisponde a 55ped/min (ottenibile col rapporto 42/18, nel caso di una 26”). Se invece il biker pedalasse “di forza” (40ped/min, e rapporto 42/13 per una 26”), questo accorcerebbe la sua autonomia (ricordiamoci che pedalare di forza consiste nel far funzionare il nostro “motore” a un’intensità superiore), facendolo letteralmente “piantare” circa 7-8km prima della conclusione dei 100km.

Quest’ultimo fatto ci fa capire quanto sia importante, nella gestione dei propri consumi (energetici e muscolari), utilizzare i rapporti giusti. La prima conclusione che possiamo trarre è pertanto che, se vogliamo riuscire a percorrere la maggiore distanza possibile per una prestabilita velocità, si DEVE pedalare “in agilità”.
Un’altra cosa che vale la pena notare è che, essendo la distanza di 100km superiore del 50% rispetto a quella di 50km, si potrebbe erroneamente supporre che vada affrontata con una velocità inferiore del 50% rispetto ai 25km/h, che sarebbe pari a 12,5km/h. Abbiamo invece visto che la velocità da tenere per 100km è decisamente più alta, ovvero pari a 16km/h, e questo ci fa capire come sia difficile dedurla se ci si affida a semplici considerazioni empiriche e intuitive, per quanto possano apparirci logiche (ed è proprio questo che ci trae in inganno). Questo risultato è dovuto proprio al fatto che la relazione che utilizziamo è di tipo non lineare (come vi ho sottolineato quando l’ho descritta).

C’è poi un’altra cosa molto importante da dire, e riguarda le eventuali soste che vengono effettuate durante il percorso (e che, nel caso si percorrano 100km, sicuramente non mancheranno). Ai fini del calcolo del “tempo di autonomia”, infatti, entrano in gioco anche queste pause. Il modo in cui vengono computate all’interno della formula è abbastanza complesso, ma per velocità medie non troppo elevate (ovvero inferiori ai 18-20km/h, in cui rientrano di norma quelle per lunghe percorrenze in mountain bike nel caso di “biker da 25km/h” come il nostro) possiamo fare una semplificazione (che rende il discorso più semplice e intuitivo) calcolando la “velocità di crociera” con cui si affronta l’itinerario, considerando anche i tempi di sosta . Ciò significa che, se percorro 16km in 50’ di pedalata effettiva, durante i quali però ho fatto delle soste per un totale di 10’, la velocità da prendere in considerazione sarà data dai 16km percorsi in 50+10 minuti, e sarà quindi pari a 16km/h (anche se, percorrendo 16km in 50’, ho tenuto fintanto che ero in movimento una velocità media indicata dal tachimetro di 19,2km/h).
Il fatto che anche le soste concorrano a determinare il tempo di autonomia del “motore” è molto importante, perché consente di rimediare qualora inizialmente si fosse tenuta una velocità di marcia troppo elevata. Nel nostro caso, se il biker abituato a percorrere i suoi 50km a 25km/h avesse erroneamente tenuto ad esempio nei primi 20km quella stessa velocità, proseguendo nei successivi 80km alla velocità di 16km/h e inserendo un totale di 2h di soste, ripristinerebbe la corretta andatura scongiurando il rischio di piantarsi prima di completare i 100km.
Sempre a questo proposito, vale la pena fare una considerazione: spesso, nel valutare la propria prestazione lungo un itinerario, si prende in considerazione la velocità media che NON computa anche i tempi di sosta, ma solo i tempi in movimento. In sostanza, se si percorrono 60km pedalando per 2h, trascurando che si son fatte anche delle pause per un totale di ulteriori 30’, risulterà una velocità media di 30km/h. Computando anche le soste, invece, la velocità media è di 24km/h (60km diviso 2h e 30’). Può così capitare di essere invitati ad affrontare nuovamente lo stesso giro da degli amici che ci dicono che si andrà a 30km/h e noi, forti del fatto che questa era stata la nostra velocità media tenuta la volta precedente, accettiamo l’invito convinti di poter reggere il passo. Peccato che però i nostri amici effettuino quell’itinerario senza soste, ovvero a 30km/h EFFETTIVI, laddove la nostra velocità effettiva era stata di 24km/h. Il risultato sarà che, dopo aver tenuto il passo del gruppo per buona parte del giro, a circa 10km dalla fine dell’itinerario ci si ritroverà coi serbatoi energetici e muscolari letteralmente prosciugati e si sarà costretti a fermarsi perché “non se ne avrà più” neanche per fare un altro metro, mentre il resto del gruppo completerà l’itinerario al proprio ritmo.
Quindi, per valutare correttamente la propria prestazione e valutare obiettivamente quale passo si è in grado di tenere, è fondamentale tenere conto anche dei tempi di sosta. In questo modo si evita il rischio di venire abbandonati a bordo strada dal resto del gruppo, magari senza neanche la consolazione di un bar nei paraggi.
A questo punto, direi che dovrebbe esser chiaro che il criterio da seguire per gestire al meglio il serbatoio delle proprie risorse non è sempre “intuitivo”, ed è importante avere un po’ di esperienza per scongiurare eventuali errori di valutazione e ritrovarsi col serbatoio vuoto nel bel mezzo di un itinerario.
Concludiamo così la prima parte di questo argomento, e nella seconda parte vedremo, sulla base di quanto analizzato oggi, come si debba impostare il proprio passo durante un’escursione (considerando le diverse tipologie di terreni e pendenze) così da evitare ingenuità ed errori di valutazione che, specie quando si è ancora agli inizi (ma capita anche a chi è già esperto), possano rovinarci un’escursione.
A prestissimo con la seconda parte
Stefano Tuveri

Ciao, ho scoperto per caso il blog e sono rimasto a bocca aperta, mi son letto almeno una decina di articoli divorandoli, complimenti davvero.
Non sono riuscito a trovare una risposta che da tempo mi pongo e non so se esiste una risposta.
Da ingegnere quale sei, secondo te esiste un modo empirico per misurare uscite diverse fra km e dislivello? Mi spiego meglio, ipotizzando una regolarità di percorso e la stessa energia impiegata, un percorso da 50 km e 1.000 metri di dislivello, a quanti km corrisponde se il dislivello è zero? Esiste un rapporto utilizzabile?
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Ciao, mi fa piacere che abbia trovato interessanti queste pagine. Peraltro, decisamente interessante è anche la tua domanda. Avevo già da tempo intenzione di preparare un articolo che trattasse questo argomento, e mi hai dato lo spunto per dedicarci un po’ di tempo e condividere con voi un’analisi che, son sicuro, incuriosirà anche gli altri frequentatori del sito. A breve su queste pagine!
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