PROGETTIAMO UNA MOUNTAIN BIKE DA VIAGGIO (3) – L’ALLESTIMENTO DEFINITIVO E IL COSTO “CHIAVI IN MANO”

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Utilizzare come base la mtb Marin ha avuto il vantaggio di fornire un telaio in acciaio al CrMo robusto e leggero, com’era in uso negli anni ’90. Lo svantaggio invece è che, al tempo, trasmissioni 3x7v e freni cantilever erano la norma, attacchi manubrio “ahead” non erano ancora in uso, tutti i cuscinetti di cui erano dotati mozzi, movimento centrale e serie sterzo erano di tipo più elementare e meno efficiente, e così della mountain bike originaria è rimasto ben poco al termine di questo progetto che porterà alla realizzazione della nostra mountain bike da viaggio.


A tal proposito, piccola parentesi: su queste pagine trovate spesso critiche anche dure verso tante pseudo-innovazioni che di innovativo non hanno nulla, se non l’aumento degli utili per chi le commercializza. Questo però non vuol dire che, in trent’anni, non ci siano stati sostanziali progressi in ambito mountain bike. Ci sono stati eccome!!

E allora vediamoli qui di seguito:

  • Rispetto a quelle trasmissioni 3x7v, che come rapporto più leggero avevano un 28/30 che spaccava le gambe anche su rampe non esagerate, la 3x9v col suo 22/32 (e volendo anche il 22/36) ha consentito di affrontare mille volte meglio gli itinerari da mountain bike (la monocorona è inutile e, per chi non ha una gamba molto allenata, è anche limitante; le stesse guarniture doppie e le varie trasmissioni con cassette da 10 o 11 pignoni non danno niente di nuovo rispetto a una 3x9v; ma la trasmissione 3x9v ha consentito ai biker anche non campioni del mondo di poter affrontare qualunque pendenza in sella, senza scendere e arrancare a piedi).
  • I freni v-brake, rispetto a quei volenterosi cantilever, son stati una rivoluzione che ha finalmente dotato le mountain bike di un impianto frenante VERO (perché tale non era quando ci si affidava a cantilever con un terzo della potenza frenante dei v-brake, e coi quali bisognava mettere in conto frenate lunghissime, specie nelle situazioni più pericolose come nelle ripide discese).
  • I movimenti centrali attuali, con la doppia calottina, sono anni luce avanti rispetto a quelli a cartuccia; sia per efficienza dei cuscinetti che, trovandosi più all’esterno, subiscono un momento della forza molto più ridotto (con conseguente meno usura); sia soprattutto per la facilità di montaggio/smontaggio della guarnitura (e alzi la mano chi non ha mai sperimentato l’emozionante esperienza di dover estrarre una guarnitura inchiodata sul proprio perno quadro, o un movimento centrale che non voleva saperne di svitarsi nemmeno con le peggiori martellate).
  • I pedali flat coi pin, consentono un’aderenza che i vecchi pedali a gabbietta metallica si sognano, e permettono una reale pedalata rotonda (salvo voler credere che si possa davvero pedalare anche “tirando verso l’alto”, fatto smentito da prove scientifiche effettuate con sensori di forza, oltre che da non troppo complesse analisi dinamiche che contemplino le masse coinvolte durante la pedalata; se però qualcuno vuole ancora credere che i pedali con aggancio consentano di “tirare verso l’alto” non voglio essere certo io a interrompere un sogno…).
  • Le forcelle ammortizzate di seconda generazione, diffusesi intorno al 2005-2006, hanno le sezioni pneumatica e idraulica separate e costituite da due cartucce che consentono regolazioni finissime e ne ottimizzano l’uso e la manutenzione (evitando il trafilamento dell’olio dagli steli, inevitabile nelle forcelle a bagno d’olio aperto dove le guarnizioni devono trattenere l’olio che spinge con pressioni di circa 3bar e che riesce a insinuarsi una volta raggiunta una minima usura, mentre nelle forcelle a cartuccia quelle stesse guarnizioni devono limitarsi a trattenere l’olio con funzione lubrificante, che si trova a pressione atmosferica e che quindi non spinge su di esse, oltre che a impedire che penetri lo sporco).

Come si può vedere da quanto elencato qui sopra, se si vuole migliorare una mountain bike della prima metà degli anni ’90, c’è solo l’imbarazzo della scelta (e praticamente tutta la componentistica originaria ha, grazie ai progressi tecnologici in ambito ciclistico, un’alternativa migliore con cui essere sostituita).

Proprio per questi motivi, si vede come la giustificazione che più o meno inconsciamente si tende a dare dell’aggressività del marketing (ovvero che: “vabbe’, venderanno fuffa, ma almeno fanno girare l’economia e creano lavoro”) meriti una considerazione: far rottamare le 26” raccontando che le 29” sono migliori, convincere i biker a montare delle trasmissioni monocorona con dei pignoni da oltre 50 denti grandi come padelle e orribili esteticamente, serve ai grandi produttori per vendere le loro mountain bike in quantità che mai si erano viste prima d’ora.

Però immaginiamo cosa accadrebbe se, in luogo della “istigazione alla rottamazione”, ci fosse quella all’aggiornamento delle proprie mountain bike: sarebbero necessarie molte più ciclofficine di quelle attuali, per soddisfare le richieste dei biker; gli stessi negozi venderebbero quantitativi enormi di componentistica (certo, venderebbero meno bici, ma chiunque abbia provato a calcolare cosa costerebbe una bici comprandone tutti i pezzi singolarmente, è in grado di capire che non ci perderebbero ma anzi aumenterebbero i guadagni). La differenza con lo scenario attuale? Sicuramente le case ciclistiche, specie i giganti del settore, diminuirebbero i loro utili; ma altrettanto sicuramente, aumenterebbero in numero significativo i posti di lavoro nel settore della bicicletta, con tanti ciclomeccanici locali in più, e pazienza se ci sarebbe qualche operaio dell’estremo oriente in meno. In pratica, gli utili che oggi si spartiscono i colossi del settore, verrebbero almeno in parte suddivisi tra tantissimi piccoli e onesti lavoratori del settore.

Ok, fine della disquisizione di ciclo-fanta-economia. La realtà è che i giganti del settore sono in grado di ammaestrare la capacità di giudizio dei ciclisti, pescando a piene mani tra i ciclobabbei, ma nessuno neanche tra chi è più scafato può ritenersi esente.

Resta però il fatto che, per chi ha un po’ di lucidità e coraggio, c’è spazio anche per seguire strade alternative: non si salva sicuramente il mondo (che tra l’altro non ha nessuna intenzione di essere salvato), ma si salva se stessi e tutto sommato anche un pezzettino del mondo che ci sta intorno.


PASSIAMO ALLORA ALL’ALLESTIMENTO DEFINITIVO DELLA MARIN

Come detto, di questa mtb del 1993 rimane ben poco (Fabio poi non è un estimatore del viola, che è il colore degli unici pezzi che si sarebbero potuti salvare, ovvero manubrio, pedali e portaborraccia, per cui anche loro verranno pensionati).

In questa fotografia d’insieme sono visibili tutti (ma proprio tutti) i componenti che, a breve, da questo “mucchietto” più o meno ordinato diventeranno un unico insieme (ovvero, una bicicletta).

Vediamo in cosa consistono, indicando a fianco di ciascuno anche il relativo valore al prezzo del nuovo, in modo da avere anche un’idea precisa della fascia qualitativa in cui si inserisce questa mountain bike equipaggiata con questa componentistica:

  • coppia di ruote Mavic X221 con mozzi Shimano LX (150€)
  • freni v-brake Shimano Deore (30€)
  • leve freno/cambio dual control 3x9v Shimano LX (80€)
  • attacco manubrio Ritchey Comp (30€)
  • adattatore attacco manubrio (10€)
  • manopole manubrio Ritchey (8€)
  • Sella Deporvillage 240g (20€)
  • guarnitura Shimano Deore 44-32-22 (80€)
  • movimento centrale Shimano BB70 (30€)
  • deragliatore Shimano XT (30€)
  • cambio posteriore Shimano XT (60€)
  • cassetta 9v Shimano HG500 (30€)
  • catena Shimano HG53 (15€)

Oltre a questi componenti, vengono aggiunti a costo zero (si tratta di componenti in ottime condizioni, disponibili nel nostro laboratorio a seguito di lavori su altre mtb):

  • copertoni Michelin Country Race (usati per appena 200km)
  • tubo sella
  • manubrio Bottecchia con rise 25mm
  • pedali con telaio in metallo

Una volta scelta la componentistica, determiniamo il costo “chiavi in mano” della mountain bike, che è pari esattamente a 375€.


Come detto più volte, con un budget inferiore a 400€, al prezzo del nuovo si può acquistare giusto un modello buono per passeggiare in paese, con componentistica di qualità scadente e un peso di 17kg.

In questo caso, per la stessa cifra si avrà una mountain bike con componentistica di gamma medio-alta, e un telaio di qualità con tutti i pregi dell’acciaio al CrMo, specie per l’utilizzo cui è destinata questa mountain bike.

A questo punto, tutta la fase di progettazione e studio è completata, e la “mountain bike da viaggio” è pronta per essere allestita.

Dal momento in cui viene confermato un ordine, il nostro laboratorio assembla la mountain bike e la prepara per l’invio entro tre giorni lavorativi.

Se altre persone sono interessate ad avere una mountain bike analoga a questa di cui abbiamo documentato passo passo il progetto, possono farne richiesta e riceveranno un analogo studio dettagliato che porterà a “cucire si misura” la loro mtb

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Un pensiero su “PROGETTIAMO UNA MOUNTAIN BIKE DA VIAGGIO (3) – L’ALLESTIMENTO DEFINITIVO E IL COSTO “CHIAVI IN MANO”

  1. Molto bella la disquisizione ciclo-fanta-economica, la ritengo veritiera ed attuale, mio malgrado, in quasi tutti i settori, trovare un elettricista o un meccanico o un professionista, scegliete voi la professione, che sia competente, affidabile ed onesto è MERCE RARA!

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