DIAMO I NUMERI (5): CONFRONTO TRA FRENI V-BRAKE E DISCO (RICORDANDO I GLORIOSI CANTILEVER…)

Questa volta l’argomento che tratteremo è quello relativo ai freni delle nostre mountain bike, confrontando tra loro gli impianti frenanti che dalle origini a oggi hanno equipaggiato i nostri “fuoristrada”.

Chi ha iniziato a uscire in mtb oltre vent’anni fa, ricorderà quando, intorno al 1997, comparvero sulla scena i rivoluzionari v-brake, in grado di erogare una potenza frenante impensabile per i vecchi cari cantilever, loro predecessori.

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La nostra banda a un raduno di mtb di fine anni ’90, quando fecero la loro comparsa i v-brake, ma la maggior parte delle mountain bike era ancora equipaggiata con i cantilever

Quale fosse la caratteristica più evidente dei v-brake, tale da consentire un nuovo modo di utilizzare i freni (e conseguentemente la mountain bike) lo ricordiamo bene: con l’utilizzo di due sole dita, e applicando una forza leggera sulle leve freno, questo sistema frenante era in grado di inchiodare letteralmente le ruote in qualunque situazione. Coi suoi antesignani, i cari e fedeli cantilever, era necessario stringere le leve freno con quattro dita, serrando forte, e nonostante ciò la potenza frenante ottenibile era di gran lunga inferiore.

Oggi invece i freni più diffusi tra le mountain bike sono quelli a disco. A tal proposito, rispetto ai v-brake, gli impianti frenanti a disco non sono una novità. Erano già utilizzati sulle mtb prima dell’avvento dei v-brake, anche se erano poco diffusi e montati quasi esclusivamente sulle mtb con impostazione discesistica.

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I freni oggi più diffusi sulle mtb sono quelli a disco, come descrive bene questa “parata di bici” durante una nostra recente escursione

Ma ancor prima, e parlo di fine anni ’70 inizio anni’80, i freni a disco erano già comparsi sulle “cross”, che chi è stato bambino in quell’era lontana ricorderà bene (quelle bici con sedile lungo, forcella ammortizzata e talvolta anche sospensione posteriore, che la maggior parte di noi poteva solo sognare, dovendosi accontentare di usare la graziella di suo padre col sedile completamente abbassato). I primi freni a disco erano di tipo meccanico, ovvero la forza frenante veniva trasferita tramite cavetto in acciaio, mentre ora sono diffusi principalmente quelli di tipo idraulico, dove il compito di trasferire la forza frenante è affidato all’olio del circuito.

ANALISI DELLA FRENATA SOTTO IL PROFILO DINAMICO

Bene, dopo questi brevi cenni storici, passiamo adesso a descrivere in cosa consiste la frenata sotto il profilo dinamico, perché ci sarà utile (o meglio, indispensabile) per poter poi valutare la qualità di ciascuna tipologia di sistema frenante. Questa volta, la trattazione prescinderà da calcoli e valori numerici, limitando al minimo anche le formule fisiche, perché per i nostri scopi sarà molto più utile concentrarci sugli aspetti concettuali. In questo modo, il discorso sarà comprensibile anche per chi non ha conoscenze specifiche di tipo fisico-meccanico, e risulterà senz’altro più utile.

Passiamo quindi al primo concetto fondamentale, ovvero: un corpo in movimento dispone di un’energia di tipo cinetico. Per rallentare o frenare questo corpo, è necessario “sottrargli” quest’energia cinetica, e questo compito viene svolto proprio dai freni.

Quest’azione svolta dai freni, in fisica viene definita come “lavoro dissipativo”, in quanto dissipa energia, e il suo valore viene definito come il prodotto della forza d’attrito (quella che i tacchetti in gomma esercitano sul cerchio nel verso opposto a quello in cui ruota, o che le pastiglie esercitano sui dischi) per lo spostamento (ovvero la distanza percorsa dal cerchio che scorre sotto il tacchetto del freno, o del disco tra le pastiglie).

In formula, il lavoro è dato quindi da: L=F*s. Come abbiamo già detto prima, questo lavoro serve a sottrarre energia cinetica alla nostra bici. Supponiamo allora di voler arrestare la nostra mtb; per farlo dovremo effettuare un lavoro di frenatura pari esattamente al valore dell’energia cinetica posseduta inizialmente dalla bici, che indichiamo con E. Dovrà quindi essere E=L, ovvero, per quanto scritto sopra, E=F*s

Questo significherà che, a parità di energia cinetica E, quanto maggiore sarà la forza frenante F tanto minore sarà lo spostamento s del cerchio o del disco (entrambi sono legati, ovviamente, alla rotazione della ruota). Giusto per dare dei valori numerici (presi a caso e senza alcuna valenza scientifica), se E vale 100 e F vale 20, tenuto conto che dovrà essere 100=20*s, si avrà che s sarà pari a 5. Se la forza frenante F fosse stata ad esempio la metà, e quindi pari a 10, nella formula avremmo avuto 100=10*s, da cui si ottiene che s sia pari a 10 (quindi il doppio del caso precedente).

Questo discorso fatto sopra ci serve per capire che, a parità di energia cinetica (e quindi di velocità della bici), la forza frenante è inversamente proporzionale allo spazio di frenata (se la forza raddoppia, lo spazio di frenata dimezza; se la forza triplica, lo spazio diventa un terzo, e così via).

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Sosta durante il recente viaggio in Umbria – mtb con diverse tipologie di freni a confronto

Chiarito questo aspetto, risulta ovvio che un freno è tanto migliore quanto maggiore è la forza frenante che è in grado di esercitare. A questo punto però la domanda è: esiste un limite oltre il quale aumentare la forza frenante diventa assolutamente inutile? La risposta è: si, esiste un limite oltre il quale aumentare la forza frenante non ha alcun senso, e questo limite è dato dal valore della forza che è in grado di portare le ruote al bloccaggio (ovvero a pattinare).

Il motivo per cui la forza che porta al bloccaggio delle ruote corrisponda al limite massimo della forza frenante efficace, è abbastanza intuibile e comprensibile, dato che una volta che le ruote sono bloccate non serve chiaramente a niente frenare con ancora maggior forza. La frenata infatti avviene anche grazie all’attrito tra battistrada e suolo stradale, che fa si che la bici, grazie all’aderenza delle ruote col suolo, venga “trattenuta” dalle ruote stesse che, rallentate dai freni, impediscono che la bici prosegua liberamente nel suo moto (in pratica, i freni rallentano le ruote che a loro volta, essendo fissate al telaio, rallentano il resto della bici). E’ quindi chiaro che, nel momento in cui la forza frenante diventa talmente forte da superare il valore della forza d’aderenza tra battistrada e fondo stradale, le ruote si bloccano e cominciano a scivolare sulla strada, e non sono più in grado di svolgere l’azione di rallentamento sul resto della bici, perché pattinano.

Piccola parentesi: una volta che le ruote si bloccano e pattinano, l’azione frenante sarà svolta dalla forza d’attrito tra battistrada e suolo stradale. Poiché questa forza d’attrito è inferiore rispetto a quella esercitata dai pattini (o dalle pastiglie) dei freni, è chiaro che si avrà una frenata più lunga, e quindi meno efficiente. Questo è il motivo per cui frenare “sgommando”, se da un lato può essere divertente da ragazzini, dall’altro è molto meno efficace.

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Sotto un diluvio durante la tappa di valico nel viaggio tra Umbria e Marche – nonostante acqua e fango, i v-brake svolgevano perfettamente il loro lavoro anche nella ripida discesa, nonostante i 15kg in più dovuti allo zaino

Altra piccola parentesi, per vedere di quanto la frenata “con pattinamento” è meno efficace: consideriamo una frenata al limite, ovvero col valore di forza frenante massimo possibile, oltre il quale la ruota pattina. In quel punto, il battistrada si trova vicinissimo al suo limite di aderenza, ma ancora non slitta e riesce a garantire la frenata. Incrementando ancora un po’ la forza frenante, il battistrada comincia a slittare, e a questo punto accade un fenomeno determinante nel peggioramento della frenata, ovvero: l’attrito battistrada/strada passa da statico a dinamico (perché il battistrada non sta più attaccato al suolo, ma si muove rispetto ad esso) e il suo valore diminuisce, poiché il coefficiente d’attrito dinamico è circa la metà di quello statico. In realtà, la diminuzione del coefficiente d’attrito, passando da statico a dinamico, dipende da tanti fattori (dentatura del battistrada, suolo stradale, miscela della gomma ecc.), per cui affermare che dimezzi è un’approssimazione che però ci serve per comprendere il motivo per cui “inchiodare” non è un buon modo di frenare (ricordiamoci infatti che, se il coefficiente d’attrito dimezza, lo spazio di frenata raddoppia).

A questo punto, affrontando il discorso  solo sotto l’aspetto concettuale ed evitando di farvi impazzire dietro formule e calcoli, abbiamo tutti gli elementi per poter valutare qualità ed efficacia delle varie tipologie di freni elencate all’inizio di quest’articolo.

Possiamo quindi cominciare a trarre una prima conclusione, ovvero: i v-brake e i freni a disco sono entrambi in grado di erogare la massima forza frenante possibile (quella che porta al bloccaggio delle ruote, rispetto alla quale, come visto, ogni ulteriore incremento è assolutamente inutile e inutilizzabile).

E i vecchi cari cantilever, compagni di tante pionieristiche uscite di tanti anni fa? Beh, ricorderete tutti voi che avete vissuto quell’eroica epopea, quali tempi e spazi di frenata avessero quei freni, e quali brividi ci facessero provare nelle lunghe discese asfaltate quando, lanciati a palla e con la curva a gomito che ci veniva incontro, si stringevano le leve dei freni fino a spaccarsi le mani (rigorosamente con tutt’e quattro le dita, dato che con due era impossibile fare abbastanza forza), mentre la bici continuava nella sua marcia e sembrava non dovesse fermarsi mai. Coi cantilever era impresa ardua bloccare le ruote su asfalto (dove l’attrito battistrada/strada è maggiore), se non dopo regolazione accuratissima che durava uno schiocco di dita. Nelle discese lunghe, l’elevata forza da applicare sulle leve freno faceva si che si arrivasse a fine discesa con le mani discretamente sfasciate. I cavetti dei freni poi si usuravano con una certa frequenza, dato che dovevano sopportare una tensione molto maggiore rispetto ai v-brake. Questo perché, nella sua semplicità, la geniale intuizione dei v-brake consiste nel far si che la geometria (e il conseguente cinematismo) delle pinze freno generi, tra tacchetti e cerchio, una forza pari a quattro volte quella agente lungo il cavo del freno (che quindi sarà molto meno sollecitato di un cavo freno dei cantilever, che invece dovrà essere sottoposto a una forza circa tripla rispetto ai cavi dei v-brake per ottenere la stessa forza frenante).

Sempre a proposito dei v-brake, tenendo conto che le leve freno hanno una struttura cinematica che fa si che, sul cavo freno, venga trasferita una forza doppia rispetto a quella che la mano applica sulla stessa leva, abbiamo (per quanto scritto sopra) che su ciascuna interfaccia tacchetto/cerchio agisce una forza otto volte maggiore di quella applicata dalle nostre mani sulle leve freno. Dato che i tacchetti sono due per ciascun cerchio, la forza totale che i tacchetti esercitano perpendicolarmente al cerchio è quindi sedici volte maggiore di quella applicata dalla mano sulla leva freno. Sulla base di quanto visto, quindi, la forza frenante ottenibile coi cantilever, a parità di forza applicata con la mano sulla leva freno, è di appena un terzo (un terzo!!!) rispetto ai v-brake. Questo fatto spiega meglio di qualunque spot o slogan perché i v-brake siano da considerarsi la VERA rivoluzione nell’ambito degli impianti frenanti per mountain bike: una potenza frenante enorme in un impianto di disarmante semplicità.

A questo punto possiamo considerare conclusa la prima parte della trattazione, in cui siamo giunti a un’importante conclusione, ovvero: sia i v-brake che i freni a disco sono in grado di fornire una potenza frenante sovrabbondante rispetto a quella che può essere effettivamente utilizzata da una bicicletta.

Passiamo quindi alla seconda parte del nostro discorso, ovvero al confronto tra queste due tipologie di impianti frenanti.

CONFRONTO TRA V-BRAKE E DISCO: LE DOMANDE “CLASSICHE”

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Discesa verso Cala Luna – i v-brake impegnati negli ultimi 10km di sentiero, molto tecnico e ripido, che porta fino al mare

La prima domanda non può che essere:ma se questi due impianti sono entrambi in grado di erogare la forza frenante massima utilizzabile da una bicicletta, allora perché i freni a disco vengono definiti come “più potenti”? La risposta è duplice: se chi fa quest’affermazione è un profano, giustamente non ha le conoscenze scientifiche per approfondire l’argomento; se invece ha una pur minima competenza in materia, ci sta consapevolmente dando un’informazione errata. Credo che l’analisi che abbiamo fatto in questa trattazione tolga ogni dubbio a riguardo, e possiamo riassumere così i risultati: v-brake e disco erogano la stessa identica potenza frenante, pari a quella massima che può essere utilizzata da una bicicletta, e questo fa si che le due tipologie di freni determinino identici spazi di frenata (sottolineiamo questo fatto: V-BRAKE E DISCO EROGANO LA STESSA IDENTICA POTENZA FRENANTE E DETERMINANO IDENTICI SPAZI DI FRENATA. Un’informazione ben poco scientifica e mirata a promuovere le vendite, ha creato in noi biker delle convinzioni errate ma difficili da rimuovere. Me ne rendo perfettamente conto e, per chi non riuscisse ad accettare quella che è semplicemente una verità scientifica, potremmo cinematograficamente chiosare con un: “E’ LA FISICA, BABY”.

A questo punto, smontato l’argomento principe utilizzato per vendere impianti a disco da 300€ invece che v-brake da 30€, andiamo avanti con la nostra analisi per approfondire ulteriormente l’argomento

Un’altra domanda, ancora più interessante, è: appurato che i due sistemi frenanti erogano la stessa potenza, in cosa differiscono? Questo quesito consente di analizzare il modo in cui la forza frenante viene trasmessa, nei due casi, dalle nostre dita alle ruote.

Per i v-brake, sono i cavetti in acciaio a trasferire la forza frenante dalle leve alle pinze dei freni. L’acciaio, per sua natura, è un materiale che sottoposto a una forza si deforma elasticamente, e la deformazione è proporzionale alla forza cui è soggetto. Nel caso dei cavi dei freni, significa che all’aumentare della forza che applichiamo sulle leve dei freni, il cavetto si allunga proporzionalmente. Attenzione, quest’allungamento è minimo, dell’ordine di 1mm, per cui ha come unico effetto quello di rendere leggermente più “morbida” l’azione sulle leve dei freni, agevolando il dosaggio della forza che applichiamo con le dita (e quindi rendendo la frenata più precisa e modulata, ed evitando un involontario bloccaggio delle ruote). A questo, aggiungiamo il fatto che, coi freni “a riposo”, i cavetti non sono tesi ma restano un po’ laschi. Nella prima fase dell’applicazione della forza frenante (ovvero quando questa è abbastanza bassa), i cavetti si tendono, e questo fatto contribuisce anch’esso a rendere la frenata più graduale, in quanto può venire dosata all’interno di una corsa maggiore della leva freno. Ciò che però, ancor più dei due fenomeni appena descritti, rende più morbida e quindi graduale la frenata, è la flessione dei bracci superiori del carro posteriore, quelli su cui sono imperniate le pinze dei v-brake. A tal proposito, se uno vuole rendere più rigido il sistema, può installare l’accessorio costituito da un archetto in metallo che va posto a cavallo delle due pinze freno, impedendo che i bracci del carro flettano allargandosi. Personalmente preferisco mantenere il sistema più elastico a favore di una migliore modulabilità della frenata, ma per chi lo preferisce esiste comunque questa ulteriore possibilità (che di fatto rende la risposta dei v-brake analoga a quella dell’impianto a disco)

L’utilizzo di quest’archetto di rinforzo è invece opportuno per i telai in alluminio. L’alluminio, infatti, per sua natura “gradisce” meno le sollecitazioni di flessione (che, detto più esplicitamente, significa che queste sollecitazioni ripetute che rientrano nella categoria delle sollecitazioni di fatica, portano il materiale a rottura dopo un certo numero di cicli). Non è un caso che, con la diffusione in massa dei telai in alluminio, cominciata circa quindici anni fa, i v-brake siano spariti prima dalle mtb di alta gamma (con telai alleggeriti e sezioni ridotte al minimo, incompatibili con sollecitazioni di flessione così forti), e via via dalle altre. Potremmo riassumere questo fatto con quest’affermazione, solo apparentemente paradossale: non son stati i v-brake a mostrarsi inadeguati alle mtb, ma le mtb (in alluminio) a rivelarsi inadeguate ai v-brake.

Negli impianti a disco idraulici, invece, il compito di trasferire la forza frenante è svolto dall’olio che circola nell’impianto frenante. L’olio, come tutti i liquidi, è di fatto incomprimibile, e quindi in questo caso non abbiamo l’azione elastica vista per i cavetti in acciaio. La forza frenante viene quindi trasferita con un’azione immediata a pistoncini e pastiglie. In realtà, i tubi entro cui è racchiuso l’olio tendono a dilatarsi con l’aumento della forza frenante (e quindi della pressione al loro interno), con effetti simili rispetto a quanto visto per i cavi in acciaio dei v-brake.

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La Bianchi LT270 del ’97 – su questa mtb, recentemente rimessa a nuovo, fanno ancora il loro lavoro i v-brake XT, in “servizio” da vent’anni

Quanto appena visto porta a un’altra domanda, ovvero: ma il fatto che i cavi si allunghino, il carro posteriore fletta, i tubi che contengono l’olio si dilatino, comporta che dobbiamo applicare una forza maggiore sulle leve freno? La risposta è: assolutamente no! Ve lo spiego in questo modo: supponiamo di sollevare un peso di 20kg attraverso una corda rigida. La forza che dovremo applicare con le nostre braccia sarà ovviamente di 20kg. Supponiamo poi di utilizzare una corda con una certa elasticità; avremo che per sollevare il peso dovremo comunque applicare una forza di 20kg. Ciò che cambierà sarà il fatto che la corda si allungherà e quindi, supponendo di voler sollevare il peso da terra di 10cm, e supponendo che la corda si allunghi di 5cm, dovremo sollevare il braccio complessivamente di 15cm (mentre, con la corda rigida, il braccio andava sollevato di 10cm). Questo è ciò che accade anche coi freni: ciò che aumenta è la corsa della leva del freno che, come visto, è utile per dosare meglio la frenata, ma la forza applicata rimane identica, e conseguentemente anche la potenza frenante.

Passiamo poi a una domanda che consente di chiarire alcuni dubbi: quale dei due impianti frenanti è più adatto ad affrontare qualunque condizione meteo e di fondo stradale ed è, in definitiva, più affidabile?

Anche in questo caso, dobbiamo cercare di districarci tra gli spot commerciali, per cercare invece di arrivare a una risposta con valenza scientifica.

Un argomento utilizzato a favore dei freni a disco, ma sarebbe più giusto dire a sfavore dei v-brake, è infatti che questi ultimi in caso di acqua o fango perdano efficienza. Quest’affermazione sarebbe senz’altro giusta se riferita ai cantilever e ai cerchi di venticinque anni fa, quando in caso di pioggia le frenate diventavano lunghissime e malamente inefficienti. Personalmente uso i v-brake da vent’anni, e quindi credo di poter fare delle affermazioni con cognizione di causa: le piste frenanti dei cerchi, da almeno quindici anni, sono realizzate con scanalature che hanno proprio lo scopo di drenare istantaneamente l’acqua e garantire l’efficienza dell’azione frenante. Ho usato i v-brake sotto diluvi, nevicate, pantani fangosi, e se c’è stata una cosa che non ha perso di efficienza sono stati proprio i v-brake (casomai era il biker inzuppato, surgelato, inzaccherato che ci arrancava sopra, ad aver perso efficienza e guadagnato deficienza…). La perdita di efficienza dei v-brake, pertanto, è smentita dall’esperienza, oltre che dai criteri progettuali con cui son stati realizzati questi impianti frenanti.

Vediamo nel dettaglio perchè l’efficienza dei v-brake è garantita anche sul bagnato. Come abbiamo detto, pista frenante e pattini dei freni sono realizzati per drenare istantaneamente l’acqua. Il coefficiente d’attrito tra tacchetti e cerchio subirà comunque una leggera diminuzione, e questo vorrà dire che, a parità di forza esercitata dalle mani sulle leve freno, sulle ruote agirà una forza frenante leggermente inferiore. Poiché però, come avevamo visto prima, l’impianto frenante v-brake è in grado di esercitare una forza frenante sovrabbondante rispetto alle esigenze della mountain bike, sarà sufficiente aumentare la forza sulle leve freno per compensare il minor attrito pattini-cerchio (parliamo di aumentare la forza sulle leve dei freni di pochi punti percentuali impercettibili per il biker, meno del 10%, non di raddoppiarla spaccandoci le mani come ai pionieristici tempi dei cantilever). Per quanto riguarda la presenza di fango, il discorso è analogo a quanto visto per l’acqua, con la differenza che, se si saranno usati molto i freni, i tacchetti saranno probabilmente da sostituire (perché la fanghiglia li consuma rapidamente). Per finire, vale la pena sottolineare che acqua e fango hanno delle conseguenze analoghe anche per gli impianti a disco, e anche in questo caso la soluzione consiste in un leggero aumento della forza frenante applicata sulle leve.

Breve nota su quanto visto sopra: in caso di fondo stradale bagnato o fangoso, l’aderenza battistrada/strada diminuirà, per cui la forza frenante massima utilizzabile sarà più bassa; non si potrà frenare con la stessa forza utilizzata su fondo stradale asciutto, altrimenti le ruote pattinerebbero.

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Escursione sul Montiferru – la lunga e velocissima discesa di 20km che, dalla vetta di Badde Urbara, porta fino al mare di Santa Caterina di Pittinuri

Un’ultima domanda è: che cos’è il fading? Per rispondere è sufficiente utilizzare la lingua italiana: il fading consiste nel surriscaldamento del freno a disco (ovvero di disco, pastiglie e olio del circuito idraulico) che si verifica a causa dell’attrito quando si affrontano lunghe discese (dove i freni vengono maggiormente sollecitati, e l’aerazione naturale dovuta al moto della bici non è sufficiente a raffreddarli). Il surriscaldamento peggiora l’efficienza frenante dell’impianto, perché l’aumento della temperatura riduce la forza d’attrito tra disco e pastiglie e la capacità dell’olio di trasmettere la forza frenante, ed è un fenomeno inevitabile in quanto è insito nelle caratteristiche fisiche dei componenti dei freni a disco. E’ una situazione classica quella in cui, nelle lunghe discese in cui i freni sono sollecitati, l’efficienza dei freni a disco decresce progressivamente man mano che si va avanti.

Stiamo volutamente trascurando il caso in cui il surriscaldamento possa portare alla vetrificazione delle pastiglie e del disco, e a un riscaldamento tale dell’olio da portare alla formazione di bolle d’aria; questa situazione infatti rende l’impianto inservibile, ma deve essere assolutamente evitata prendendo rigorose precauzioni, in quanto altrimenti ci si espone al grande rischio di rimanere senza freni in discesa.

Schematizzando: i freni, per arrestare la bici, agiscono dissipando l’energia cinetica => quest’energia cinetica viene dissipata attraverso l’attrito, che è un fenomeno fisico che trasforma l’energia in calore => il calore aumenta la temperatura di dischi e pastiglie dei freni => a una maggiore temperatura corrisponde un minore coefficiente d’attrito, e quindi una minore forza frenante => più si frena, più aumenta la temperatura, meno efficienti sono i freni

Questa serie di fenomeni fisici concatenati, mostra come ad un maggior utilizzo continuativo dei freni a disco corrisponda inevitabilmente una minore efficienza, senza che sia possibile alcuna soluzione. E’ chiaro che, se uno percorre i classici circuiti delle gare da XC, le discese da downhill che si risolvono in un paio di minuti o, in generale, discese di qualche centinaio di metri, non avverte nessun problema. Se però si affrontano discese vere, lunghe e ripide, il riscaldamento dei freni a disco e la conseguente diminuzione della loro efficienza sono inevitabili. Tutto questo mostra una situazione paradossale, ovvero: laddove i freni sono più importanti, si ha che i freni a disco (commercialmente definiti come “più potenti”) mostrano dei limiti tecnici non superabili, in quanto insiti nella loro stessa natura; la conclusione è che, proprio nelle situazioni di maggiore sollecitazione, i v-brake si mostrano oggettivamente superiori.

Mi rendo conto che portare avanti un discorso che dimostra, con dati oggettivi, che dei v-brake da 50€ (questo è il costo di una coppia di pinze freno XT, le migliori e più costose oggi in vendita) non siano inferiori ai migliori impianti a disco da svariate centinaia di euro (e nelle situazioni più impegnative mostrino addirittura una maggiore efficienza), pur essendo una verità scientifica, sia difficile da accettare per chi quelle centinaia di euro li ha effettivamente spesi convinto di migliorare in questo modo la sua mountain bike.

I v-brake sono spariti dalle bici di alta gamma già quindici anni fa, e da una decina d’anni son stati relegati alle mountain bike di fascia economica, per cui la maggior parte di coloro che escono oggi in mountain bike non li ha mai usati, ha sempre usato i freni a disco, e non ha dei termini di confronto. E’ così diventato normale che, per avere i freni in efficienza, si debba periodicamente portare la bici dal meccanico per le operazioni di spurgo o sostituzione di olio e pastiglie, spendendo quattrini, oppure fare da se queste operazioni quando se ne è capaci, spendendoci comunque tempo e soldi (le pastiglie costano). Coi v-brake il massimo della manutenzione richiesta è la sostituzione dei pattini ogni parecchie migliaia di chilometri: sette euro di pattini nuovi che è in grado di sostituire anche il biker più imbranato.

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L’arrivo a Cala Luna della nostra banda – niente è efficace quanto le escursioni più impegnative per dimostrare che gli spot camuffati da “spiegazioni tecniche” valgono zero

A questo punto, non resta che chiudere con l’ultima domanda, che è quella che di norma ci si sente rivolgere quando si mettono in discussione la supremazia del freno a disco, ovvero: si, ma allora perché tutti usano i dischi, dai professionisti fino ai ciclisti della domenica? La mia risposta è: oggi, salvo i modelli di fascia più bassa, tutte le mtb nascono coi freni a disco e, soprattutto, i telai non hanno i perni su cui installare i v-brake. Stando così le cose, che freni potrebbe usare se non i disco, un biker che si  compra oggi una mountain bike? Se poi mi si chiede perchè tutti i marchi abbiano fatto questa scelta, posso solo dire che in quest’articolo abbiamo analizzato l’argomento dal punto di vista scientifico, anche per consentire a ciascuno di fare le proprie scelte “difendendosi” da quelle che sono le strategie commerciali del mondo della mountain bike.

Chiudo quindi io con un ultima domanda: perchè ogni anno, alla presentazione dei nuovi cataloghi, i nuovi modelli di freni a disco vengono pubblicizzati come quelli che “hanno eliminato rispetto al modello precedente i problemi di fading, uniformità nel tempo della potenza frenante, affidabilità dell’impianto…”, come era stato detto per il modello precedente, e come sarà detto per il modello successivo? A voi la risposta…

A risentirci al prossimo articolo

Stefano Tuveri

(ingegnere e progettista/collaudatore meccanico)

18 pensieri su “DIAMO I NUMERI (5): CONFRONTO TRA FRENI V-BRAKE E DISCO (RICORDANDO I GLORIOSI CANTILEVER…)

  1. ciao stefano! ho letto con estremo interesse questa trattazione e mi trovo pienamente d’accordo su quanto poi la scelta del miglior sistema frenante sia strettamente connessa all’uso che facciamo del nostro mezzo, spesso si finisce erroneamente con il pensare che per avere il meglio bisogna semplicemente spendere il massimo ed avere il modello più recente tra quelli proposti dalle varie aziende.
    sto scrivendo una tesi sull’evoluzione dei sistemi frenanti per ingegneria meccanica e mi sono casualmente imbattuto in questo articolo, mi farebbe veramente piacere e credo sarebbe di grande aiuto al mio lavoro se riuscissimo a contattarci tramite mail, spero possa aiutarmi, la ringrazio in anticipo, Roberto.

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    1. Ciao Roberto, i v-brake hanno avuto la ventura di apparire poco prima del passaggio dai vecchi cantilever ai freni a disco. Estremamente più potenti dei primi, e altrettanto più semplici dei secondi, son stati da subito messi in discussione dalle grancasse del marketing (che avevano tutto l’interesse a promuovere i freni a disco, ben più costosi e soprattutto bisognosi di frequente manutenzione, ovvero autentica miniera d’oro per produttori, negozianti e ciclomeccanici). La realtà è che i v-brake, estremamente semplici, son nati già perfetti e con una potenza frenante sovrabbondante. I disco, invece, è vent’anni che a ogni nuovo catalogo vengono annunciati epocali miglioramenti, ma la realtà è che continuano a portarsi dietro i problemi insiti nella loro stessa natura, e che surriscaldamento e perdita di efficacia della frenata non verranno mai superati (salvo cambiare le leggi della Fisica, e l’ignorarle non cambia certo la realtà dei fatti)

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  2. Complimenti bellissimo articolo. Una domanda. Ho appena acquistato una mtb con vbrake e credevo di aver fatto una cretinata ma leggere questo articolo mi ha rincuorato, tuttavia un dubbio mi assale. Poiché devo fare lunghe discese di asfalto (abbastanza appese) i vbrake vanno bene per questo? Inoltre fanno un sacco di rumore quando li aziono, è normale perché sono nuovi? Complimenti ancora

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    1. Ciao, tranquillo, non hai fatto nessuna cretinata. I v-brake hanno una potenza frenante sovrabbondante, per cui otterrai la miglior frenata possibile in qualunque situazione (ricorda, come spiegato nell’articolo, che il limite della frenata è dato dall’aderenza della bici, funzione del peso di bici+biker, e dei battistrada. Le lunghe discese sono proprio il terreno in cui i v-brake mostrano tutta la loro superiorità rispetto ai disco (il che appare un’eresia per chi si ciba di articoletti-spot di riviste e siti web, ma è semplicemente una verità scientifica), infatti quando sono molto sollecitati i freni a disco si scaldano perdendo efficienza; i v-brake invece, a fine discesa, hanno un rendimento identico a quando sei partito.
      Per il rumore, che è indice di assemblaggio non perfetto (capita spesso quando le mtb escono di fabbrica), puoi intervenire con molta semplicità. Probabilmente i pattini non sono perfettamente paralleli alla pista frenante sul cerchio, e toccando solo di spigolo (o peggio ancora di punta) generano quelle vibrazioni che percepiamo come rumore. Svita leggermente ciascun pattino, in modo che possa muoversi; pressa la pinza contro il cerchio, in modo che il pattino vi poggi con tutta la sua superficie frenante, e quindi serra nuovamente la vite. Non so che freni monti la tua mtb, ma se dovessero essere degli economici modelli base, ti suggerisco di acquistare gli Shimano Deore. Te la cavi con 30€, e hai equipaggiato la bici con ottimi freni che ti consentiranno di controllare la meglio la mtb in qualunque situazione.
      Buone pedalate
      Stefano Tuveri

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      1. Grazie per la risposta però a me i pattini sembrano allineati bene, se mi indichi una email potrei mandarti una foto dei freni, Ti sarei davvero grato di un parere. Un altro dubbio ma i vbrake non si surriscaldono ugualmente come i dischi e usurano la ruota? La mia paura in forte discesa è proprio questa.

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        1. Puoi mandare le foto alla mail bikeplani@tiscali.it (poi ti risponderò su questa pagina, in modo che la risposta sia fruibile da tutti). Nella frenata, pattini e cerchio si riscaldano (la dissipazione dell’energia, da cui ha origine la frenata, consiste proprio nella trasformazione dell’energia cinetica in calore). Però le parti sono esposte all’aria con una grande (enorme) ventilazione, e si raffreddano immediatamente (mentre i freni a disco, sistema miniaturizzato rispetto alle versioni “standard” automobilistiche, hanno le pastiglie racchiuse in spazi ridottissimi e la ventilazione è insufficiente; ogni anno infatti esce una nuova versione che promette di aver risolto il problema, che in realtà è irrisolvibile semplicemente per le leggi della Fisica). In quanto all’usura della ruota, su una delle mtb monto ancora un paio di Mavic in “servizio” dal ’98, ancora perfette (e sottolineo perfette, ovvero senza alcun segno di usura), a riprova che certe leggende sono state messe in campo per fini commerciali. Manda pure le foto, ti do una mano volentieri

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    1. Buongiorno Flavio, ho visto le foto. Posso dirti che, “a occhio”, i pattini appaiono allineati (ovvero non ci sono macroscopici disallineamenti). Ti consiglio però di fare comunque quanto ti avevo detto, ovvero: svita leggermente ciascun pattino, premi la relativa pinza freno in modo che il pattino aderisca perfettamente al cerchio, e a quel punto serra nuovamente la vite. In questo modo, ciascun pattino sarà perfettamente allineato al cerchio e la frenata sarà perfetta. Se dopo quest’operazione i rumori dovessero esserci ancora, allora significa che la superficie dei pattini nuovi è ancora un po’ dura, e a quel punto i rumori spariranno dopo un po’ di utilizzo. Il mio suggerimento, comunque, resta quello alla prima occasione di “regalare” degli Shimano Deore alla tua bici.
      Per migliorare una mtb economica con interventi successivi, ti consiglio la lettura di questo recente articolo sul nostro sito: https://bikeplani.wordpress.com/2020/05/27/la-bici-per-i-neofiti-guida-allacquisto-e-ai-piccoli-miglioramenti/

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  3. Buongiorno Stefano e complimenti per l’articolo e il sito intero.
    Vorrei conoscere la tua opinione sui “brake-booster”, cioè quegli archetti metallici da montare sui perni di alloggiamento dei v-brakes che dovrebbero irrigidire l’insieme ed eliminare le vibrazioni.
    Cosa ne pensi?
    Grazie.

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    1. Buongiorno Davide, la mia opinione è che… dipende dalla situazione. Detto così effettivamente vuol dire poco, per non dire niente, quindi ti faccio degli esempi concreti.
      Ho due mtb Bianchi che utilizzano i v-brake, destinate a utilizzi abbastanza diversi. La “ammiraglia” è la front con cui affronto le escursioni più impegnative, coi freni che vengono messi a dura prova su lunghe discese veloci a oltre 60 all’ora (parliamo di sterrato), o sempre su discese, ma tecniche, con qualche chilometro di pietraia e i freni quasi continuamente in presa (e qui davvero apprezzi il fatto che il surriscaldamento, congenito nei freni a disco, non sia un problema che sfiora minimamente i v-brake, che mantengono l’efficienza frenante intatta anche dopo un’ora di tacchetti in presa).
      Su questa mtb, anche nelle situazioni più difficili, non ho sentito l’esigenza di utlizzare l’archetto di rinforzo. La flessione dei foderi del carro, infatti, non pregiudica la potenza frenante (che resta ampiamente sovrabbondante), e per contro rende più “morbida” l’azione sui freni, con un miglior controllo della frenata che risulta più graduale (sono i pregi dei telai in acciaio, perchè la sua elasticità, con buona pace degli spot commerciali, è un pregio, un grande pregio).
      L’altra mtb Bianchi, anch’essa in acciaio, è una “full rigid” destinata alle escursioni non troppo dure e ai viaggi, e su questa l’archetto è ancora meno utile (e anzi si apprezza ancora di più la gradualità della frenata, su un mezzo che ha tra gli scopi quello di una guida comoda).
      Ci sono invece delle situazioni dove ho ritenuto l’archetto utile? Si, ad esempio ne ho consigliato il montaggio a un amico con una mtb con telaio in alluminio. Infatti, a differenza dell’acciaio, l’alluminio ha un limite di resistenza a fatica anche per sollecitazioni piccole (dell’ordine di grandezza di quelle che a ogni frenata si esercitano sui foderi). Questo vuol dire che, dopo un tot di sollecitazioni (che se non si sono problemi è comunque un numero enorme), l’alluminio si rompe. Per questo motivo, un archetto di rinforzo è un valido aiuto per il telaio, e in particolare per i foderi posteriori (non perchè serva ad irrigidirli, dato che l’alluminio è molto più rigido dell’acciaio, ma perchè li protegge da usura e quindi potenziali rotture, allungandone la vita secondo una funzione esponenziale. Tradotto: ti dura una vita).
      Spero di esserti stato d’aiuto. In ogni caso, se vuoi montarli anche su un telaio in acciaio perchè a te non piace che la potenza frenante incrementi in modo “morbido” (ma magari preferisci un’azione più “secca”), non fai sicuramente nessun danno
      Stefano Tuveri

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  4. Buongiorno Stefano e complimenti per i sito e vostri articoli, che fanno senza dubbio riflettere. Mi incuriosisce questo aspetto: io possiedo diverse MTB. La più vecchia, una Bottecchia addirittura con corone anteriori ovali :), ha freni tradizionali (v-brake suppongo). Poi una con freni a disco meccanici e l’ultima idraulici. E’ corretto affermare che la sensazione di frenare “meglio” con i freni a disco idraulici derivi dal fatto che bisogna imprimere meno pressione sulle leve, e dunque specialmente se stai andando a forti velocità e magari pesi pure tanto (io circa 68/70 kg) il fatto che l’impianto idraulico ti aiuti soprattutto all’inizio della frenata, ti porta ad avere alla fine un minor spazio di frenata? Cosa che potresti ugualmente ottenere ugualmente con i freni tradizionali ma con una decisa (e forse anche tecnica giusta) pressione iniziale? Recentemente ho visto un video su youtube, chiaramente non proprio rigoroso in termini tecnici …anzi, dove sembra che effettivamente gli spazi di frenata si allarghino per i freni tradizionali. Il video confronta due BDC. Ad ogni modo, la sensazione che molti hanno deriva solo da una falsa percezione oppure c’è qualche altro fattore che l’amatore (ma direi anche i professionisti ai quali sono state fatte le stesse domande) non tiene conto? Grazie mille per le vostre informazioni. Un caro saluto!

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    1. Buongiorno Mario, mi fa piacere che abbia trovato interessanti le nostre pagine, ti ringrazio. Il confronto tra tipologie di freni è un argomento che riscuote molto interesse (quest’articolo infatti è tra i più letti del sito, assieme a quello che confronta le prestazioni di 26″, 29″ e bdc, e all’articolo che valuta i comportamenti di gravel e mtb gommata leggera sui loro terreni privilegiati).
      Per quanto riguarda il confronto “v-brake vs disco”, c’è poco da aggiungere: entrambi forniscono una potenza frenante sovrabbondante, di gran lunga superiore alle esigenze di una mountain bike; la potenza massima utile (oltre la quale si ha il bloccaggio delle ruote) entrambi la ottengono frenando anche solo con un dito (parliamo ovviamente di freni ben regolati), per cui la scelta dell’uno o dell’altro è abbastanza soggettiva (personalmente, preferisco i v-brake perchè non mi piace il mai risolto problema del calo di prestazioni dei disco a causa del riscaldamento, sulle lunghe discese che li sollecitano molto; altri invece preferiscono i disco per motivi loro altrettanto rispettabili; il fatto oggettivo è che entrambi consentono frenate con IDENTICA efficienza e IDENTICO spazio di frenata).
      Diverso è il confronto fatto sulle bici da corsa. In questo caso, i caliper sono oggettivamente meno potenti dei disco, così come sono meno potenti dei v-brake (il confronto coi v-brake è più semplice, perchè si ricostruisce agevolmente il sistema di forze agente: si vede che, a parita di forza applicata sulla leva del freno, la forza frenante è pari alla metà. Lo diciamo meglio? Per ottenere la stessa frenata, devo applicare il doppio della forza sulle leve freno, il che è un’enormità in termini di qualità della frenata). E’ chiaro quindi che la differenza di prestazioni, su una bdc, venga percepita in modo marcato e abbia delle motivazioni oggettive (non si tratta di suggestione, insomma). Quindi, sulle bdc, i disco sono superiori in toto ai caliper? Non direi, perchè resta sempre quello che è il limite congenito dei disco, ovvero il riscaldamento e la conseguente disuniformità (in perdita) di prestazioni. Sono insomma due tipologie di impianti frenanti con caratteristiche diverse, che danno il vantaggio di poter scegliere, il che è una bella opportunità (che fino a poco tempo fa sulle bdc non c’era) a patto di scegliere razionalmente e non per “tifoseria”.
      Stefano Tuveri

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      1. Ultimamente ho letto, su un sito di bici, che nelle discese toste sono indispensabili i freni a disco perchè con gli altri si arriva all’ “arrostimento” del cerchio ed addirittura al consumo con inevitabile rottura dello stesso.
        Mi chiedo: ma prima dell’avvento dei dischi come si faceva a frenare?

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        1. Questa è una delle tante sciocchezze (eufemismo) inventate dal mondo del marketing, e rilanciate dal mare di siti pseudotecnici, gestiti da salsicciai senza il senso del patetico.
          Vediamo di smentire questa boiata, utilizzando il buonsenso prima ancora che le leggi della Fisica.

          Allora, quando si frena ciò che accade è che tutta (se si arriva all’arresto) o parte (se ci si limita a rallentare) dell’energia cinetica posseduta dal sistema bici+biker viene dissipata.
          Come avviene questo? Grazie all’attrito, che la trasforma in calore.

          Nei sistemi frenanti v-brake, la trasformazione in calore è generata dallo sfregamento dei pattini contro i cerchi.
          Nei sistemi frenanti a disco, la trasformazione avviene con lo sfregamento delle pastiglie contro i dischi.

          Che fine fa questa energia sotto forma di calore?
          Il primo passaggio è che viene accumulata dai componenti che generano l’attrito, ovvero ancora cerchi+pattini (nei v-brake) e pastiglie+dischi (nei disco).
          A parità di frenata (ovvero di rallentamento determinato sul sistema bici+biker, e quindi a parità di energia cinetica trasformata in calore), sarà identica anche la quantità di calore generata.

          Ora, poichè il volume di cerchi+pattini è maggiore (enormemente maggiore) di quello di pastiglie+dischi, è chiaro che questi ultimi si riscalderanno di più (enormemente di più) dei primi.
          Quindi, la temperatura che raggiungeranno i dischi sarà enormemente maggiore di quella che raggiungeranno i cerchi.

          Ma non finisce qui.

          Infatti, il calore accumulato dalle componenti dell’impianto frenante, non permane indefinitamente in esse, ma si trasferisce poi nell’aria.
          E allora, pochè i cerchi hanno una superficie attraverso cui avviene lo scambio termico molto maggiore dei dischi, questo rende più rapido il trasferimento di calore all’aria.

          Ancora, poichè i cerchi ruotano con una velocità periferica più che tripla rispetto ai dischi, anche questo aumenta la velocità con cui scambiano, e quindi dissipano, il calore.

          Pertanto, non solo i cerchi si scaldano molto meno dei dischi, ma poi si raffreddano a una velocità molto maggiore, il che significa anche (e soprattutto) che mantengono la propria temperatura a valori molto più bassi rispetto a quella dei dischi. Stessa cosa vale per i pattini dei v-brake rispetto alle pastiglie dei dischi, dato che i pattini sono interamente esposti all’aria (mentre le pastiglie sono poste in un ambiente chiuso con areazione molto ridotta).

          La conclusione? E’ che ad avere problemi di surriscaldamento sono INVECE i freni a disco. Del resto, è un problema ben noto, si chiama fading, e consiste nel surriscaldamento di tutti i componenti dell’impianto, ovvero dischi, pastiglie e olio. La conseguenza è che, nelle discese lunghe in cui i freni vengono molto sollecitati, la frenata coi freni a disco perde gradualmente di efficacia (ovvero di potenza) e la risposta dei freni diventa spugnosa, con la leva feno che affonda via via di più per ottenere la stessa potenza frenante (il che peggiora l’impugnatura rispetto a quella ottimale, con maggiore affaticamento delle mani).
          Per cui, chiudiamo l’argomento con una considerazione da tenere bene a mente: se in un sito leggete affermazioni come quella che ho appena smentito (per tacere poi di chi parla di pneumatici esplosi a causa del surriscaldamento provocato dai v-brake, quando le gomme si riscaldano ben di più per la semplice esposizione al sole, visto il loro colore nero, e non si ha notizia di gomme esplose perchè la bici era stata esposta al sole…), significa una sola cosa: chi fa quelle affermazioni è un ciarlatano. O è abissalmente ignorante, oppure è in malafede e raccatta qualche spicciolo propinando slogan che gli vengono commissionati
          Stefano Tuveri

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      2. Una curiosità: perchè sulle bici da corsa non si montano V-brake al posto di freni a disco? Problemi di corsa delle leve dei freni? Grazie mille. Davide

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        1. Buongiorno Davide, le leve freno delle bdc in effetti non sono dimensionate per i v-brake, e quindi non hanno una corsa sufficiente (come accae anche per le leve dei cantilever). Chiaramente, se ci fosse stata la volontà di mettere sul mercato dei v-brake per bdc, il problema sarebbe stato facilmente risolto realizzando al contempo delle leve freno opportune. Perchè quindi non son stati realizzati degli impianti frenanti di questo tipo? Il motivo ufficiale non lo conosco, posto che comunque sarebbero stati necessari anche dei telai e forcelle coi perni su cui montare le pinze v-brake.
          I v-brake sono dei freni in grado di esercitare una forza frenante molto elevata, in grado di bloccare una ruota con copertura tassellata anche su asfalto, frenando con un solo dito. Una potenza frenante del genere su una bdc, che utilizza gomme lisce, sarebbe stata sproporzionata e difficile da gestire, e avrebbe dato più problemi che vantaggi (per quanto si possa dosare la frenata, il rischio di bloccare involontariamente le ruote è alto, e specie sul bagnato questo rappresenta un pericolo).
          E’ chiaro che, a questo punto, la domanda nasce spontanea: e i freni a disco allora? Dato che sulle mtb esistono da almeno trent’anni, ma solo da alcuni anni sono diventati “indispensabili” sulle bdc, lascio in sospeso la risposta…

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  5. ciao vorrei aggiornare i miei freni vbrake. Ho un modello Btc, su una ibrida bottecchia, del 2010.

    ho visto che consigli lo shimano-deore.

    devo cambiare anche la leva del freno o bastano le pinze del freno? E se voglio fare solo il. Posteriore posso farlo?

    infine volevo chiederti se è facile fare il settaggio da soli, attualmente con il mio freno attuale ho difficoltà a regolarlo, le pinze sembrano storte e come regolo una si sposta l’altra o il tacchetto va troppo a filo o troppo lontano.

    grazie e complimenti per l’articolo.

    Edoardo

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    1. Buongiorno Edoardo, nelle prime mtb (diciamo fino a metà anni ‘90) le leve freno erano adatte esclusivamente per i cantilever, e non avevano corsa sufficiente per i v-brake. Sulle mtb successive, bisogna verificare da caso a caso, ma spesso le leve freno erano adatte sia per i cantilever che per i v-brake. Se non sei costretto ad acquistare tutto in un’unica soluzione, potresti prendere solo le pinze v-brake e vedere se le tue leve freno sono compatibili.
      Riguardo poi al settaggio, non è una operazione complessa (nel senso che sono pochi passaggi) ma va effettuata con precisione e, chiaramente, conoscendo il metodo. Ci sono delle piccole “malizie” da applicare rigorosamente (ad esempio, quando monti i pattini devi innanzitutto spingere manualmente la pinza in modo che il pattino poggi sul cerchio esattamente nella posizione corretta, e solo successivamente vitare per fissarlo). Se hai dei dubbi, ti consiglio di farti aiutare da un amico esperto o rivolgerti a una ciclofficina. Ai freni è delegata la nostra sicurezza, meglio spendere qualche euro in più ma non correre alcun rischio
      Se hai altre domande o dubbi, scrivi pure
      Stefano Tuveri

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